Famiglia
Seconda generazione /parla il sociologo: più moschee contro lo scontro di civiltà
Le seconde generazioni non sono disposte a fare i lavori umili dei loro padri. Hanno aspirazioni diverse. E sono molto meno disposte a subire.
Parla Maurizio Ambrosini
, il maggiore esperto dei ?teenager dell?islam?
Arriveremo allo scontro di civiltà? «La storia ci dice che dobbiamo essere ottimisti, perché con il passare delle generazioni l?integrazione si realizza. Però in sociologia c?è anche la legge di Thomas, che invece non fa ben sperare: un fenomeno rappresentato come reale diventa vero nelle sue conseguenze». Vita ha incontrato Maurizio Ambrosini il giorno del secondo, fallito, attentato a Londra.
Vita: Perché la seconda generazione pone così tanti problemi?
Maurizio Ambrosini: C?è un problema che è, prima di tutto, legato al modo di rapportarsi degli adulti nei confronti dei giovani: i ?vecchi? si chiedono se i giovani saranno disposti a riprodurre l?ordine sociale così come è stato costruito. Una richiesta che, se nelle classi più popolari crea una certa ribellione, tra i giovani immigrati produce una ancor maggiore inquietudine. Perché poi, oltretutto, loro si trovano su un crinale.
Vita: Cioè?
Ambrosini: Sono presi in una morsa fra aspirazione al benessere e mancanza di sbocchi. Non sono disposti a fare i lavori umili dei loro padri. Assorbono lo stile di vita e i modelli di consumo, ma a questa ?socializzazione culturale? perfettamente riuscita, non corrisponde lo stesso panorama di opportunità. Le faccio un esempio: in Inghilterra il tasso di disoccupazione degli immigrati musulmani è del 38,5%, in Canada è del 15%. Dietro al radicalismo c?è una spinta di protesta contro un malessere sociale: gli immigrati poveri, residenti in quartieri degradati, rappresentano una formidabile fucina di opposizione. Se a questo si innesta un fondamentalismo religioso?
Vita: Ma allora la religione c?entra!
Ambrosini: Negli Stati uniti è diverso, ma in Europa pesa una duplice tradizione. Da un lato, l?accezione francese di ?Stato laico?, che pur professando rispetto per il credo religioso di ciascun cittadino, di fatto lo considera un fattore disturbante e patologico. Dall?altro, le Chiese di Stato e i concordati hanno portato a una sorta di sovrapposizione tra identità nazionale e una certa religione. Ma se nella nostra idea di nazione c?è questo background, una sorta di ?religione civile? che ci rassicura e ci dà un senso d?appartenenza (e che contraddice l?essenza del cristianesimo, come religione che ?apre?), è chiaro che per chi è diverso sorgono gravissimi problemi di integrazione.
Vita: D?accordo, anche la nostra identità culturale gioca un ruolo. Ma che peso ha, invece, la loro appartenenza religiosa?
Ambrosini: L?adesione vera a una religione, la devozione e lo studio, sono fattori che costruiscono persone più ligie alle leggi, più attente e rispettose. Chi sente di appartenere a un credo e lo condivide all?interno di una comunità, sviluppa un?autostima che lo aiuta a superare le difficoltà e la pesante condizione di vivere in un Paese straniero. Il problema sorge quando la religione viene incontrata in contesti di totale deprivazione culturale ed economica, e diventa solo un vessillo per esprimere il proprio malessere.
Vita: Come si può prevenire questa deriva, qui in Italia?
Ambrosini: Credo che la più grande mobilitazione sociale di questi anni sia quella che ha come destinatari gli immigrati. Infatti, se noi continueremo a coltivare un?idea degli immigrati come individui socialmente emarginati, subalterni, pericolosi, prepariamo davvero il terreno per forme più o meno violente di ribellione. Bisogna ragionare e investire su tutte le istituzioni che creano ponti, che fanno solidarietà: dai doposcuola e i centri di aggregazione giovanile, come luoghi non ghettizzanti e presenti sul territorio, al ruolo strategico legato alla formazione professionale (alla Fondazione Clerici di Milano, che presiedo, sono sempre più numerosi ad esempio gli extracomunitari che accedono all?istruzione-formazione obbligatoria, ottenendo una qualifica professionale). Ma questo non basta ancora. Ritengo si debba fare un grande lavoro sui rappresentanti istituzionali: in Francia hanno formato con denaro pubblico i responsabili delle loro comunità religiose, per farne dei mediatori sociali. Dar loro la possibilità di avere luoghi di culto aiuterà l?integrazione.
Vita: In conclusione professore: è ottimista o pessimista?
Ambrosini: Ci sono diversi scenari, lo ripeto. Ma siamo noi che costruiamo l?altro. Lo scontro di civiltà dipende anche da noi.
Chi è
Maurizio Ambrosini insegna Sociologia delle migrazioni all?università di Genova. Da diversi anni si occupa del fenomeno dell?immigrazione in Italia. Ha fondato all?università Cattolica in Brescia il primo centro di ricerca universitaria in Italia sui fenomeni migratori e presiede a Milano la Fondazione Clerici, realtà di riferimento nel campo della formazione professionale. Ha da poco curato, con Stefano Molina, il volume Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia , ed. Fondazione Agnelli, 2004.
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