Economia
Sec: ora le imprese dimostrino che la responsabilità sociale di impresa è una pratica reale
L'appello della Scuola di economia civile al mondo economico. Servono nuove reti, relazioni di reciprocità, percorsi di mutuo sostegno, tra imprese del Nord e del Sud, nei territori e nelle città. È una grande occasione per ricostruire un’operosa fiducia collettiva e per diventare più adulti, meno emotivi e scomposti di come ci vorrebbero certi media.
di Redazione
Da quasi due settimane il nostro Paese è investito da un’emergenza che da sanitaria è diventata sociale, economica e soprattutto psicologica. All’incertezza derivante dall’impatto del virus sulle nostre vite private e pubbliche si sovrappone una preoccupazione di carattere collettivo e di sistema, che si autoalimenta a prescindere dai dati oggettivi e dalle indicazioni di medici e scienziati. Una preoccupazione reale che merita la massima attenzione nel rispetto delle indicazioni del personale medico e delle Autorità politiche e istituzionali.
Fin dai primi giorni è stato chiaro che la vera crisi non è solo il Coronavirus ma soprattutto i suoi effetti indiretti sulla tenuta del Paese: – sul sistema sanitario che rivela le sue debolezze, dopo anni di privatizzazione e indebolimento delle strutture, e che oggi viene sottoposto ad uno stress-test immane; – sulla scuola, spesso già affaticata nella sua organizzazione didattica ordinaria;- su economie interconnesse e fragili, che dipendono in modo strutturale dalle relazioni internazionali, e il turismo su tutte. Molte imprese, le associazioni sindacali, professionali e imprenditoriali hanno provato a conteggiare i possibili danni di questa nuova crisi, facendo proiezioni preoccupanti su tutti i comparti produttivi e di servizio.
Pur comprendendo le preoccupazioni che oggi angosciano tanti attori economici riteniamo che il ruolo delle “imprese civili” non possa esaurirsi solo nella contabilità dei danni e nel contribuire alla diffusione degli allarmi. È questo il momento di dimostrare che lo Stato siamo noi. E che la responsabilità sociale di impresa non è solo uno strumento di marketing ma è una pratica reale che si attiva soprattutto nel momento della crisi: dimostrando attenzione ai beni comuni (la salute, il lavoro), praticando una comunicazione corretta, formulando proposte concrete e sostenibili con una visione d’insieme, attivando azioni concrete rivolte alle persone più fragili, valorizzando un sistema fatto da imprese, famiglie, scuole, università, organizzazioni ed enti che diventino protagonisti di una nuova e indispensabile solidarietà proattiva.
Tra le tante storie di responsabilità sociale di questi giorni, una ci è sembrata emblematica, quella di Mahmoud Ghuniem Loutfi, rider torinese che per riconoscenza verso la città che lo ha accolto ha comprato, in proprio, mascherine per la Croce Rossa locale. Non ha pensato al proprio danno, ma si è chiesto che cosa poter fare per la sua comunità, e quindi anche per se stesso.
Per le persone e le imprese sane è il momento di tirar fuori generosità e creatività, di praticare buon senso e ragionevolezza. Nessuno si salva da solo, nessuna impresa si salva da sola. Servono nuove reti, relazioni di reciprocità, percorsi di mutuo sostegno, tra imprese del Nord e del Sud, nei territori e nelle città. È una grande occasione per ricostruire un’operosa fiducia collettiva e per diventare più adulti, meno emotivi e scomposti di come ci vorrebbero certi media. E forse, davvero civili.
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