Non profit

Seattle, ai poveri in regalo l’eutanasia

L'hanno chiamata "morte con dignità". Permette il suicidio assistito a chi lo vuole. O a chi non ha risorse per le cure palliative. Uno scandalo morale e sociale

di Alessandra Marseglia

A novembre scorso i cittadini dello Stato di Washington – uno spicchio di terra all’estremità Nord-Ovest degli Stati Uniti, famoso per le aziende di high-tech e la forte cultura ambientalista – hanno approvato a grande maggioranza una legge che ha reso legale il suicidio assistito. Sulle orme del vicino Oregon, che da 11 anni è l’unico Stato d’America a permettere una qualche forma di eutanasia, la legge in vigore dal 5 marzo scorso permette ai malati terminali con meno di sei mesi di vita di chiedere e ottenere la somministrazione di un’iniezione letale. La I-1000 prevede che sia solo il diretto interessato, nel pieno delle sue facoltà, a richiedere la prescrizione medica della dose letale e dopo che almeno due specialisti abbiano certificato l’irreversibilità della malattia e la diagnosi sul tempo da vivere rimasto. Nello Stato di Washington, la I-1000, ribattezzata dai suoi sostenitori “Morte con dignità”, è stata promossa dal movimento Compassion & Choices e fortemente sostenuta dall’ex governatore Booth Gardner, che ne è diventato la figura-simbolo. Affetto da anni dal morbo di Parkinson, Gardner per far approvare la legge ha sborsato di tasca propria oltre 470mila dollari. «Mi sembra di vedere me stesso», ha dichiarato Gardner all’indomani dell’approvazione della legge, «ordinare un’iniezione letale, e farlo liberamente, ancora nel pieno delle mie facoltà mentali».
Ma per i tanti sostenitori della libertà di scelta e di autodeterminazione, molti sono stati anche gli oppositori della legge. Jim Thomas, responsabile della catechesi adulta per la Diocesi cattolica di Seattle, ha una perplessità condivisa da molti. «Quale medico», spiega a Vita, «può davvero diagnosticare con certezza che il paziente abbia sei e solo sei mesi di vita?».
Il partito contrario alla legge non annovera solo gruppi religiosi. L’associazione dei medici dello Stato di Washington, ad esempio, pur lasciando a ciascun associato la libertà di coscienza, si è ufficialmente dichiarata contraria.
Tuttavia, in un Paese come l’America dove la sanità è privata per la maggior parte dei cittadini e dove 47 milioni di persone sono completamente “scoperte” con lo Stato disposto a fornire solo le cure di base, la questione morale lascia presto il posto a quella sociale. Il rischio introdotto da questa legge è sotto gli occhi di tutti: l’iniezione letale potrebbe essere la soluzione più veloce e a buon mercato per molti poveri americani che non possono permettersi le costose cure per una malattia terminale. «Non posso accettare l’idea», ha detto senza troppi giri di parole il reverendo Anthony Robins dalle colonne del quotidiano di Seattle, «che la nostra diventi una società che incoraggia i malati al suicidio perché curarli è troppo costoso e sconveniente». E quella del reverendo non è una paura campata per aria. Negli ultimi anni, l’Oregon Health Plan, il piano medico pubblico per i cittadini meno abbienti, ha inviato una lettera ai malati di cancro dello Stato informandoli che sebbene non possa rimborsare le spese mediche necessarie ad assisterli negli ultimi giorni di vita, sarebbe invece disposto a pagare per il suicidio assistito. «È a dir poco agghiacciante», ha commentato lo stesso reverendo Robinson, «quello che si profila è un futuro nel quale i ricchi e potenti potranno decidere liberamente della loro morte e invece i poveri saranno incoraggiati ad esercitare il suicidio che è economicamente più conveniente». «Altro che libertà di scelta», aggiunge Jim Thomas. «Questa legge mette a rischio le persone socialmente e psicologicamente più deboli. Immaginiamo quale pressione possa esserci su chi è malato e povero».

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