Welfare

Seac: «Servono più misure alternative alla detenzione»

Intervista a Luisa Prodi, presidente del Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario alla vigilia del 45° Convegno nazionale, che si tiene a Roma dal 29 novembre all'1 dicembre

di Daniele Biella

“Carcere e sicurezza: le pratiche e le proposte”. Questo il tema del il 45° Convegno Nazionale del Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), che si terrà dal 29 novembre al 1° dicembre 2012 a Roma, presso l’Istituto suore Maria Bambina in Via Paolo VI 21, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica italiana. Tre giornate in cui magistrati, rappresentati delle istituzioni, esponenti del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), professori universitari e membri di associazioni si confronteranno per fare il punto sul sistema della giustizia, la gestione della sicurezza in carcere e il ruolo del volontariato. Vita.it ha raggiunto Luisa Prodi, presidente del Seac dal 2009, che aprirà i lavori dell’incontro.

Quali sono i temi portanti del convegno?
La visione a 360 gradi di tutto ciò che riguarda la sicurezza nel mondo del carcere. Sto parlando di quella ‘sociale’, ovvero rispetto all’esterno delle strutture penitenziarie, ma anche di quella inframuraria, ovvero di cosa accade dietro le sbarre e come vengono gestiti i problemi securitari. La partecipazione di operatori penitenziari, direttori di carceri e altro personale coinvolto in prima persona è un valore aggiunto della tre giorni di lavori. Nello specifico, sono previste sessione pratiche di racconto delle varie esperienze, più momenti d approfondimento su temi particolare, come per esempio la situazione delle camere di sicurezza nelle questure, oppure come viene trattato il tema nelle circolari penitenziarie.

Dal punto di vista del volontariato, quali sono i problemi più urgenti da risolvere?
Seppur ogni istituto di pena sia diverso dall’altro, di sicuro al primo posto nella scala delle questioni da risolvere ci sono le condizioni di vita poco dignitose dei detenuti: il numero eccessivo delle presenze, che non accenna a diminuire, creare problemi di ogni tipo, sanitario in primis: negli ultimi tempi è aumentata a dismisura la richiesta ai volontari di saponette e shampoo da parte dei detenuti. Questa situazione si riflette sulla vita quotidiana delle persone detenute e di chi lavora in carcere. Si figuri che la richiesta che arriva alla maggior parte degli almeno 4mila volontari presenti oggi nelle strutture è quella di vestiti di ricambio: molti non ce l’hanno, soprattutto chi non ha una famiglia di appoggio all’esterno, e ho visto situazioni pessime di persone che non hanno potuto cambiare maglietta per settimane.

Lei svolge volontariato penitenziario da 25 anni. Sono peggiorate le condizioni negli ultimi tempi?
Sì, molto. La progressiva diminuzione di spazi dedicati alla socialità sta portando a situazione estremamente gravi a livello sociale. Le faccio un esempio del carcere dove sono volontaria, Pisa, che comunque a livello di sovraffollamento non è uno dei peggiori: fino a poco tempo fa avevamo un aula in cui facevamo attività scolastiche. Da un giorno all’altro, quell’aula è diventata una cella, per necessità. Cosi accade sempre più spesso. Pensi che buona parte dei detenuti, a causa della mancanza di spazi e, ultimamente, di attività lavorative dato che anche i lavori inframurari come lo scopino (l’addetto alle pulizie, ndr) sono in decrescita, passa anche 20 ore al giorno nella cella. Anzi, sulla branda, dato che la cella è troppo piccola per muoversi.

Quali soluzioni suggerisce il mondo del volontariato penitenziario?
In primo luogo, e non siamo i soli a chiederlo, una riforma del codice penale, che preveda misure alternative al carcere per i reati minori: oramai è palese che più custodia non significa più sicurezza. Non sto parlando di indulto o amnistia, attenzione: tali provvedimenti avrebbero un carattere emergenziale, andrebbero bene solo se collegati a interventi più strutturali. In generale, su questi temi come altri sempre legati alle condizioni di detenzione, vorremmo essere più ascoltati dato il fatto che siamo presenti da tanto nelle carceri per collaborare al trattamento rieducativo. Invece da qualche anno, in particolare con il precedente governo, la nostra voce non ha più trovato interlocutori ed è come se fossimo stati dimenticati dalle istituzioni: è ora di invertire la rotta.


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