Welfare
Seac: La vera rivoluzione sociale? Le misure alternative al carcere
Il 20 novembre prossimo si concludono i 18 Tavoli tematici degli Stati generali dell'ordinamento penitenziario: per accettare ulteriori suggerimenti il ministero ha attivato una email a cui tutti possono scrivere. Luisa Prodi, presidente del Coordinamento di enti e associazioni penitenziarie, traccia la via: "Più esecuzione penale esterna, che a conti fatti abbatte la recidiva. E la creazione di un sistema penitenziario specifico per i minori, che oggi manca"
C’è un’email a cui, da qui fino a venerdì 20 novembre, può scrivere chiunque abbia qualcosa da dire al ministero della Giustizia sul tema dell’ordinamento penitenziario. È statigenerali@giustizia.it e l’attenzione è garantita (la risposta forse no): è l’utile strumento messo a disposizione di chi non ha potuto partecipare a uno dei 18 Tavoli tematici legati agli Stati generali del carcere, il cui lavoro si chiuderà proprio il 20 novembre prossimo e che anno coinvolto esperti, magistrati, avvocati, docenti universitari e rappresentanti del volontariato. “Le indicazioni che ne seguiranno verranno poi utilizzate dagli estensori dei decreti legislativi della riforma del codice penale, che è in attesa di iniziare l'iter al Senato dopo il nulla osta ricevuto alla Camera”, spiega Luisa Prodi, presidente del Seac, Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario, un insieme di 40 gruppi autonomi – circa 1200 volontari, con varie mansioni, dall’assistenza diretta alla gestioni di centro d’ascolto e dei rapporti con i famigliari – che ha tenuto da poco il proprio 48mo Convegno nazionale.
Che tipo di indicazioni usciranno dai Tavoli tematici?
Sicuramente ogni Tavolo – tra i vari, sono presenti quello sull’architettura penitenziaria, sulla vita detentiva, sul lavoro, sulle misure alternative, sullo sport in carcere – poterà alla luce i problemi attuali e in un’ottica costruttiva si daranno suggerimenti per provare a risolverli. Partiamo da una situazione più positiva rispetto a qualche anno fa, data la deflazione negli ultimi due anni del sovraffollamento: da 68mila detenuti si è passati a 52.434 (dato del 31 ottobre 2015). E abbiamo notato un cambiamento di mentalità rispetto alle misure alternative alla pena, c’è una prima apertura e gli ultimi provvedimenti legislativi legati alla messa alla prova lo dimostrano. Detto questo, serve un passo ulteriore: dalla concezione “carcerocentrica” della pena si deve andare verso un sempre maggiore tentativo di reinserimento nella società. È stato già detto molto volte ma è sempre opportuno ribadirlo: il lavoro e l’esecuzione penale esterna abbatte la recidiva, ovvero mettono la persona nelle condizioni di non tornare a delinquere. Si dovrebbero inoltre ribaltare certe prassi fin troppo consolidate.
A quali prassi fa riferimento?
Punire certi reati con anni di carcere anziché commisurare pene alternative adeguate, come avviene in tanti Paesi esteri. Non esiste solo la pena detentiva. Purtroppo in Italia si è ancorati al codice Rocco, del 1932, non si è ancora riusciti a superare questo scoglio, in primo luogo a livello politico. Poi c’è la questioni legata ai minori, che a oggi sono privi di un sistema diretto a loro.
I minori non hanno un proprio sistema penitenziario?
No, perché il regolamento attuale ricalca quello degli adulti, con alcune variazioni sostanziali. Ma è un grosso ostacolo al bene dei minori e della collettività, perché essi andrebbero educati prima che puniti o “rieducati” come si usa dire per gli adulti.
In tutto questo, il volontariato che ruolo ha e quale dovrebbe avere?
Ha un ruolo centrale ma, per esempio, nei Tavoli è rappresentato in modo eterogeneo, senza un coordinamento e questo rischia di nuocere all’impatto che può avere a livello generale e all’opportunità di divenire un attore più influente a livello politico di quello che è oggi. Nel farsi carico delle persone che assiste, deve inoltre essere serio e competente nelle proprie azioni, stimolando le comunità esterne al carcere a promuovere inclusione sociale in ogni modo possibile, perché è tramite il rafforzamento di una buona esecuzione penale esterna che si potrà migliorare sia la vita detentiva sia quella della società, in cui il detenuto è comunque inserito.
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