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Se vuoi la pace prepara la nuova economia
La cecità è in un comportamento predittivo: se tratti con un regime non democratico, come notoriamente è la Federazione Russa, e gli cedi fette importanti della tua economia poi non puoi tirarti indietro quando vuoi e senza creare disequilibri sociali complessivi. Fare affari con i bulli in tempo di pace con la speranza che poi il bullo ci mantenga sempre sotto la sua ala protettiva non è affatto una mossa conveniente e passare da Gazprom ai mondiali in Quatar significa solo cambiare pusher
Anche sulla stampa di ieri due analisi, di stampo diverso, ci hanno detto quello che avevamo già intuito da soli. Massimo Bordignon, direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica, chiarisce su Avvenire che ci siamo messi in una condizione tale da non poter liberarci dalla dipendenza dal gas russo, ma al massimo possiamo “dimezzarlo”; Francesco Lenzi su “Il Fatto Quotidiano” avvisa che “procedere con altre sanzioni, pur potendo effettivamente mettere in ginocchio l’economia russa, aumenta il rischio di causare una crisi finanziaria globale: il dubbio è che si sia raggiunto quel punto in cui andare oltre possa portare più danni al sanzionatore che al sanzionato”.
Da giorni tutti gli analisti ci dicono, più o meno, la stessa cosa: che anche le sanzioni alla Russia si imbarcano a breve su un vicolo cieco, se la Russia non dovesse crollare prima. La cecità è in un comportamento predittivo: se tratti con un regime non democratico, come notoriamente è la Federazione Russa, e gli cedi fette importanti della tua economia poi non puoi tirarti indietro quando vuoi e senza creare disequilibri sociali complessivi. Uno zar può decidere di mandare a morire migliaia di giovani soldati, incarcerare l’opposizione, minacciare i competitor commerciali. Una democrazia non agisce così e quando si arriva allo scontro sui dazi e le sanzioni succede facilmente che chi ha le mani più legate sia uno stato democratico, che deve rendere conto al suo interno del caro vita e del caro energia e del rischio dei default bancari locali, e non il regime autoritario che ha già preso l’avvio di chiedere ai suoi “sudditi” sacrifici a cui non si possono opporre.
Fare affari con i bulli in tempo di pace con la speranza che poi il bullo ci mantenga sempre sotto la sua ala protettiva non è affatto una mossa conveniente: quando poi vuoi provare a depotenziare il bullo ti accorgi di essere parte della sua corte e che ha usato proprio te e la tua complicità per maltrattare altri, che oggi non riesci neanche a difendere .
Questa guerra è iniziata nel 2014 ed ancora prima, nelle ferite inferte al diritto internazionale con le guerre arbitrarie ed ingiuste inAfghanistan, in Iraq, in Libia, ferite che hanno aperto la strada all’occupazione silente e mascherata del Donbass senza eccessivi clamori internazionali. Ma non solo. Questa guerra inizia con chi si serve del petrolio Saudita e non ha detto una parola sulla strage yemenita di cui il regime dei Saud si è fatto parte attiva da diversi anni, questa guerra in Ucraina aveva i suoi addentellati negli orrori siriani e nel respingimento di quei profughi che arrivavano in Europa a cercare riparo, per essere cacciati nei boschi della Bielorussia, in pieno inverno. Le pipeline di Gazprom hanno molto a che vedere con la Siria e salgono, guarda caso, proprio in direzione Crimea. Questa guerra ha una responsabilità collettiva e plurale nei campionati di calcio europei che per undici lunghi anni venivano finanziati proprio da Gazprom, che ne era diventato mainsponsor.
Due giorni fa il nostro premier Draghi si è detto sconvolto in parlamento per “gli errori incredibili” del ministero degli Esteri e di Eni che dal 2014 in poi hanno aumentato la loro dipendenza dalla Russa anziché diminuirla. Forse il premier non vedeva da tempo le partite di Champions, se lo avesse fatto si sarebbe accorto che ad ogni stacco pubblicitario era proprio Gazprom che salutava il pubblico con un occhiolino.
Ma proprio in questi giorni lo stesso Draghi ha avviato l’accelerazione per la “diversificazione” delle forniture, inviando l’ad di Eni, De Scalzi, lo stesso manager che governa la nostra azienda di idrocarburi dal 2014 e che quindi ha fatto quegli “errori incredibili“, in Quatar, dove ovviamente verranno celebrati, guarda un po’ i mondiali di calcio. Il Quatar è forse una democrazia moderna ? Stiamo finalmente diversificando il nostro modo di agire sui mercati internazionali? Niente affatto. Abbiamo solo cambiato “pusher” , potrebbero dirci i nostri adolescenti, abbiamo iniziato la sostituzione di uno zar con un emiro, una partita di champions con una dei mondiali, ma la tattica resta la stessa, non cambiare gioco ma cambiare i padroncini.
Eppure l’Italia è indietro sul goal 7 dell’agenda 2030 dello Sviluppo Sostenibile, il goal della transizione energetica da carbon fossile a rinnovabili, per intenderci. Secondo l’ultimo rapporto di Asvis
“L’insieme delle misure a sostegno delle rinnovabili contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è ritenuto estremamente frammentario e non è evidenziato se e in che misura lo stesso potrà concorrere al target rinnovabili al 2030, ora definito al 40% a livello di Unione europea. Inoltre, né la Legge di Bilancio 2021 né il Pnrr definiscono un’azione sistemica per il conseguimento di una riduzione della domanda di energia al 2030”.
Forse più che volare in Quatar, con gli stessi giocatori che hanno causato la condizione di scacco in cui ci troviamo, dovremmo far volare i tecnici ed i ministri sui nostri Appennini ventilati, sulle nostre zone esposte al sole, e chiarire per sempre a noi stessi: perché invece di rincorrere le dittature e le loro tubature non abbassiamo il più possibile il livello della domanda di energia e non aumentiamo l’auto sufficienza energetica da fonti rinnovabili?
Se vogliamo preparare la prossima pace, non essendo stati bravi a gestire questa crisi come le altre, dobbiamo forse preparare una nuova economia dei consumi e delle fonti.
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