Sostenibilità

Se vince il business del danno

il tema del mese Dietro la crisi campana lo scontro tra due filosofie economiche

di Redazione

La produzione nazionale di 131 milioni di tonnellate di rifiuti nel 2005, di cui 31,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, 57,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (tra cui 5,4 milioni di pericolosi) e oltre 42 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzioni e demolizioni, rappresenta il passaggio ad uno stato di inutilità di enormi quantità di materiali che hanno richiesto risorse naturali ed energia per la loro produzione (molta più energia di quanta se ne possa ricavare bruciandoli).
L’emergenza rifiuti in Campania rappresenta solo l’emergere esplosivo di un conflitto che cova da tempo sotto la cenere in tutta Italia; si tratta del conflitto fra due filosofie economiche: l’economia del danno e l’economia del benessere sostenibile. La prima, largamente diffusa, vede nei rifiuti, e più in generale nell’inquinamento, l’opportunità di nuovi profitti attraverso la diffusione di tecnologie di smaltimento (cdr, inceneritori, discariche, ecc.) e disinquinamento, in gran parte sovvenzionate da denaro pubblico.
La seconda considera i rifiuti un difetto del sistema economico-produttivo che andrebbe corretto riducendone al minimo le dimensioni attraverso la prevenzione e il riciclaggio. Le due filosofie sono inconciliabili, in quanto la prima tende ad aumentare i rifiuti, essendo essi la base del profitto, mentre la seconda tende a diminuirne il più possibile la quantità.

Shock therapy
L’impressione netta che abbiamo è che in Campania si sia applicata premeditatamente una sorta di “shock therapy” lasciando irresponsabilmente degenerare la situazione per costruire sulla paura un consenso unanime intorno a strategie di gestione centralizzata del flusso dei rifiuti per favorirne il controllo affaristico. Ne è riprova l’ultimo provvedimento del governo di incentivare con il Cip6 (una tassa che gli italiani pagano da 16 anni nella bolletta elettrica per finanziare le energie rinnovabili, ma in realtà anche le “assimilate”), in deroga alle norme nazionali e comunitarie, la vendita dell’energia prodotta dagli inceneritori, per rendere economica una soluzione che senza sostegno pubblico non lo sarebbe.
La Campania nel 2005 ha prodotto 2.806.113 tonnellate di rifiuti urbani, alle quali vanno aggiunte 4.344.318 tonnellate di rifiuti speciali (dato del 2004), di cui 1.626.827 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi esclusi quelli da costruzioni e demolizioni.
A queste quantità vanno inoltre aggiunti i rifiuti tossici arrivati clandestinamente da altre parti di Italia, le cui quantità ovviamente non si conoscono. La raccolta differenziata è ferma ad appena l’11%. Ogni cittadino ha dovuto pagare per questa gestione disastrosa ben 101 euro/anno, fra le tariffe più alte di Italia.
In Campania, secondo i dati Onr-Apat nel 2005 sono stati compostati appena 74.052 tonnellate di rifiuti organici, a fronte di una quantità presente nei rifiuti urbani stimabile a circa 850mila tonnellate, alle quali vanno aggiunti gli sfalci e le potature.
Ecoballe poco eco
I 7 impianti di cdr hanno prodotto un materiale che non rispetta i requisiti minimi di legge per quanto riguarda il potere calorifico e l’umidità, pertanto, non potendo essere avviati ad incenerimento, ne sono stati accumulati circa 6 milioni di tonnellate (le famigerate ecoballe). Questi impianti hanno una capacità complessiva pari a 2.529.085 tonnellate/anno, che corrisponde ad oltre il 92% dei rifiuti urbani. Si tratta quindi di una dotazione enormemente sovradimensionata, che rivela una scelta preferenziale per l’incenerimento che poco o nulla lascia al recupero di materia e al compostaggio.
Il solo inceneritore di Acerra, con la sua capacità di 609.075 tonn/anno di cdr, potrebbe assorbire l’intera capacità di produzione di cdr da rifiuti urbani. E invece si progetta di realizzare altri due inceneritori con la probabile intenzione di trattare in tal modo anche i rifiuti speciali. Attuare un simile piano richiederebbe almeno tre anni durante i quali la Campania resterebbe in emergenza.

Tre mesi per uscire dal tunnel
Per tornare invece a una gestione sostenibile dei rifiuti basterebbero appena 90 giorni (come mostra la tabella accanto), avviando le raccolte porta a porta e un piano di prevenzione dei rifiuti, attivando gli impianti di compostaggio già esistenti, quelli in costruzione e quelli in progetto raggiungendo una capacità di circa 500mila tonn/anno, incentivando il mercato dei materiali riciclati, convertendo gli impianti di cdr a centri di trattamento meccanico biologico per un ulteriore recupero di materiali utili.
L’utilizzo della discarica risulterebbe a regime (dopo tre anni) di circa 300mila tonn/anno di rifiuti assimilabili agli urbani, mentre l’ipotesi cdr-incenerimento, formulata nel piano del commissario, porterebbe alla necessità di smaltire in discarica oltre un milione tonn/anno di rifiuti speciali (in parte pericolosi) costituiti da ceneri e materiale esausto dei sistemi filtranti.
Non si tratta di utopia, ma di cose che già vengono fatte in Italia, in piccole città come in grandi metropoli europee: Dublino, Vienna, Berlino, Zurigo, Lille, ma anche Lecco, Alessandria, Asti, e alcune zone sperimentali di Roma, Bari, Venezia, Torino, Reggio Emilia, fino a Mercato San Severino. Se i politici vogliono riacquistare la fiducia persa, dimostrino di voler seguire questi esempi, perseguendo il bene pubblico e non gli interessi delle imprese che proliferano nell’economia del danno.


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