Economia

Se un’azienda profit chiede donazioni, il caso di Change.org

Le aziende profit che si occupano di argomenti “sociali” sono le benvenute. Ma che lo facciano sostenendosi con il mercato, non con il fundraising. Altrimenti si trasformino in organizzazioni non profit al 100%. Due esperti sollevano il caso

di Valerio Melandri e Carlo Mazzini

Change.org mi/vi manda una email e mi/vi chiede di diventare “donatore” anzi un “eroe con soli 4 euro al mese”.

Cioè un’azienda profit (ripeto, profit), mi/vi sta chiedendo di darle una donazione, sulla base del fatto, che quest’azienda si occupa di una cosa “sociale” (ovvero la promozione di petizioni on line per fare advocacy sui più svariati problemi). Ci spieghiamo meglio.

Le aziende profit che si occupano di argomenti “sociali” sono le benvenute. Ma che lo facciano sostenendosi con il mercato, non con il fundraising! Altrimenti si trasformino in organizzazioni nonprofitnon profit al 100%.

D’altronde, se Change.org può chiedere donazioni, nessuno si dovrebbe scandalizzare se Fiat chiedesse donazioni! In fondo e in senso lato, anche Fiat è un’ “impresa sociale”… dando lavoro a migliaia di persone e scarrozzandoci da più di un secolo in tutto il mondo. E che dire di Apple, il cui l’Ipad è uno degli oggetti più utili per lo sviluppo delle capacità intellettive dei bambini con disabilità…

Intendiamoci: ognuno è libero di dare una donazione a Fiat o ad Apple, ma chi lo fa, DEVE sapere che NON sta donando ad una organizzazione non profit, ma ad un’azienda profit con investitori, soci e proprietari.

Change.org è un’azienda profit, nata nel 2007 che ha il quartier generale a San Francisco, ma è registrata nel “paradiso fiscale” dello Stato del Delaware (dove di solito va a registrarsi chi vuole pagare meno tasse possibili). Change.org è un’azienda profit con dei proprietari e degli investitori.

Sì è vero, è una B-Corporation, (ovvero una società che rispetta i più alti standard sociali per un’azienda profit), ma è una B-Corporation anche l’Olio Carli, o la Pasticceria Filippi, o Banca Prossima. Ma potete immaginare che queste aziende chiedano “donazioni” per sostenere le loro attività, dicendo che loro fanno “sociale”?

Se Change.org vuole diventare un intermediario filantropico si trasformi in una vera e propria organizzazioni nonprofit, e trasferisca il comando e la proprietà nella Fondazione Change.org. Allora saremmo ben lieti di sostenerla!

Non si può essere un’azienda profit (e quindi avere la possibilità di dividere fra soci eventuali dividendi) e allo stesso tempo chiedere “donazioni” come se si fosse una non profit, così come è sleale o curioso anche che una azienda profit usi il suffisso .org, che dovrebbe essere riservato alle sole non profit.

O da una parte o dall’altra. E con la massima trasparenza.

Già in passato Change.org aveva un modello di business che fece discutere. Offriva – in modo legale – un servizio a pagamento di lead generation, che si rivolgeva alle organizzazioni non profit affittando o vendendo gli indirizzi e i nomi di chi aveva firmato le petizioni. Pratica che poi, sull’onda delle polemiche, interruppe.

Ora raccoglie donazioni, dichiarando (piccolo, piccolo) che “i contributi NON sono deducibili”… E ci credo… vorremmo vedere che se uno fa un versamento all’ENEL (che sta diventando una B-Corporation esattamente come Change.org) potesse dedurre fiscalmente il contributo!

Come farà a stare in piedi Change.org nel prossimo futuro? Non lo sappiamo, ma possiamo immaginare che prima o poi fornirà un servizio di promozione delle petizioni che consentirà a chi vuole investire una piccola somma di mostrare la petizione a un pubblico più ampio (più o meno quello che fa Facebook con i post – non organici – a pagamento).

Nulla di sbagliato a fare l’azienda profit! Ce ne fossero di aziende profit che “fanno sociale!”. Ma che siano trasparenti e chiare. L’azienda Change.org che fa lo sponsor del non profit è una manna dal cielo (qualche anno fa fece lo sponsor anche dell’Associazione Festival del Fundraising).

Ma fare la pseudo-non profit che raccoglie donazioni (non deducibili) per sostenere il suo modello di business, è un’ambiguità discutibile.

L'intermediazione filantropica (cioè quello che fanno le organizzazioni non profit quando fanno fundraising) è una cosa seria e il modello di change.org rischia di abbatterla con azioni che disorientano i donatori.

La “fede pubblica”, cioè la fiducia che le persone ripongono sul settore non profit perché privo di interessi egoistici, è il più importante asset del non profit.

Non si può tollerare che aziende – seppur dirette anch’esse a cambiare il mondo in meglio – mettano a repentaglio l’esistenza stessa del non profit.

Quasi quasi lanciamo una petizione online!


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