È vero quanto sostiene Bossi e cioè che in Vaticano sia in vigore una legislazione più severa dell’Italia contro gli immigrati irregolari? Questo argomento fu utilizzato per la prima volta da Roberto Maroni lo scorso 25 luglio, in risposta ai vescovi che criticavano le norme del “pacchetto sicurezza”. Umberto Bossi l’ha ripreso il 22 agosto. Secondo il “senatùr”, nello Stato del Papa i clandestini sarebbero trattati peggio che da noi. Possibile? In realtà nel più piccolo e multietnico Stato del mondo nessuna legge tratta dell’immigrazione irregolare. C’è invece una vecchia normativa, del 7 giugno 1929, che regola la cittadinanza e gli accessi. Per superare i posti di blocco è necessario un permesso che viene rilasciato all’ingresso, dalla gendarmeria vaticana. Occorre esibire un documento e specificare i motivi. Se si ha un appuntamento con qualcuno o si ha bisogno della farmacia pontificia, il permesso è rilasciato in pochi minuti. L’articolo 21 prevede misure coattive per i trasgressori: «Coloro che si trovano nella Città del Vaticano senza le autorizzazioni previste negli articoli precedenti o dopo che esse siano scadute o revocate, possono essere espulsi anche colla forza pubblica». In un comma successivo si dice che «può essere sottoposto a pena pecuniaria o detentiva chi si introduca nello Stato della Città del Vaticano nonostante il rifiuto di permesso». A queste norme, peraltro mai applicate, probabilmente intendevano alludere i ministri leghisti. Il paragone con l’Italia, tuttavia, suona pretestuoso. Il Vaticano è composto di fatto da alcuni palazzi, dove risiede il Papa, più una piccola area verde. Ovvio che l’accesso sia sottoposto a verifiche di sicurezza. «È come se volessi entrare al Quirinale senza alcun controllo?», commenta il presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Dalla Torre.
Alvaro Mutis, scrittore colombiano
(da Un bel morire, Einaudi)
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