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Se un’associazione apre un asilo nido

In merito alla tassazione, per le imposte dirette l’associazione potrà beneficiare del regime ex legge 398/91...

di Carlo Mazzini

Faccio parte di una associazione di promozione sociale non a scopo di lucro. Da un po? di tempo ci è venuta l?idea di aprire un asilo nido. Questo servizio sarebbe rivolto anche a terzi non soci. Ho un po? di domande per voi: è considerata attività commerciale? Se sì, come è regolata la tassazione? Cosa significa gestione separata? Nello statuto della associazione abbiamo previsto la possibilità di realizzare attività commerciali volte a finanziare l?associazione: in questo caso la tassazione è comunque prevista?
Francesco Morbidelli

Una associazione di promozione sociale che allestisce un?attività (in questo caso l?asilo nido) rivolta a terzi, a pagamento, realizza un?attività di natura commerciale. La stessa attività, per la parte rivolta ai propri soci, ha invece i presupposti perché non sia considerata commerciale. In merito alla tassazione, per le imposte dirette l?associazione potrà beneficiare del regime ex legge 398/91 (opzione da esercitare con l?apertura della partita Iva), con riduzione notevole sia degli adempimenti che del calcolo dell?Ires dovuta. Inoltre, l?associazione risulterà soggetta all?Irap (per la parte commerciale) secondo il ?metro? normale di assoggettamento proprio di questa imposta (cioè sul valore netto aggiunto); per la parte non commerciale, la base imponibile è pari alla somma delle retribuzioni spettanti per lavoro dipendente e assimilato.

In merito all?Iva, le prestazioni proprie degli asili nido sono esenti da questa imposta.

La contabilità separata permette di imputare distintamente i costi (e i proventi) delle due attività (commerciale e non commerciale) e di calcolare i redditi tassabili (nel caso della commerciale). Inoltre, con la contabilità separata si riesce a evincere se un ente sviluppa maggiore attività commerciale rispetto a quella non commerciale, con effetti rilevanti sul mantenimento di qualifica di ente non commerciale. Il fatto che lo statuto preveda lo svolgimento di attività commerciali è la condizione senza la quale non potrebbe svolgerle, ma non rileva sulla loro ?tassabilità?. Non è quindi lo statuto a dire l?ultima parola sul versante imposte (cioè se una attività è tassabile o meno); questo ruolo è ricoperto (ahimè spesso confusamente) dal diritto tributario.

Infine, è bene precisare che se ci si imbatte in un?attività commerciale, si ha la necessità di comprendere le conseguenze di aprire alla commercialità. Si diventa a tutti gli effetti imprenditori; quindi la prospettiva è dover fare lucro (rivolto o reimpiegato nell?associazione), e a mio parere non ci si può permettere di non riuscire, in quanto si entra in un mercato, in un sistema di concorrenza, nel quale le regole non sono quelle ?buone? del non profit.

Non si aspetta la benevolenza del terzo, bisogna diventare appetibili, mettersi in gioco su registri diversi da quelli del non profit puro. Con il rischio già accennato, che, se «si riesce troppo», se cioè l?attività commerciale ha un successo maggiore (in termini di incassi e di sforzo produttivo) di quella non commerciale, allora tutto l?ente diventa commerciale, perdendo i notevoli benefici fiscali ed amministrativi che le leggi nazionali (l.383/00) e regionali riconoscono alle associazioni di promozione sociale (5 per mille, +Dai -Versi, detrazione/deduzione delle erogazioni liberali).

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