Sostenibilità

Se profitti e perdite non bastano pi

Hanno cominciato le banche,seguite da alcuni grandi gruppi. Ma c'è chi si è pentito: l'Enel non ha mai pubblicato il documento redatto nel '97

di Ida Cappiello

Non esiste a oggi un censimento dei bilanci sociali in Italia, ma gli esperti concordano su una stima di circa 100. Un numero ancora molto basso, anche se nel mondo dell?economia cresce l?interesse verso il bilancio sociale spinto, tra l?altro, dal dibattito in corso a livello mondiale sui temi della corporate governance e della trasparenza informativa verso gli stakeholder. Tra le imprese, un pugno di nomi eccellenti, blue chips di Piazza Affari: Acea, Aem, Autostrade, Monte dei Paschi, Telecom Italia, Unicredito.

Bnl fra gli esordienti
Quest’anno esordisce Bnl e si sa che il gruppo Eni sta preparando il bilancio sociale per la controllata Agip; l’Enel, invece, ha preparato un documento nel 1997, ma non lo ha mai pubblicato. Mentre tra le citate, Telecom e Unicredito pubblicano un bilancio di sostenibilità, a metà strada tra il sociale e l’ambientale. Poche le altre public companies; da segnalare, tra i big non quotati, le Ferrovie dello Stato. Per il resto si tratta di realtà industriali medio-piccole (forse perché nelle realtà grandi è molto più difficile realizzare questo strumento) e di enti locali, più coinvolti perché gestori di risorse pubbliche.
Un’indicazione di trend molto approssimativa, ma comunque interessante, arriva dai dati sulle aziende partecipanti all’Oscar di bilancio, il prestigioso riconoscimento istituito oltre mezzo secolo fa dalla Ferpi – Federazione italiana relazioni pubbliche, che dal 1995 premia i rendiconti sociali all’interno di una sezione speciale. Dal 1997 si registra un andamento crescente fino al 2000, anno di vero e proprio boom con un incremento del 150%, seguito da un brusco regresso nel 2001, forse motivato dalla congiuntura economica sfavorevole. L’andamento irregolare è dovuto anche al fatto che il bilancio sociale, non essendo regolato da alcuna norma giuridica, non viene fatto ogni anno, e alcune aziende l’hanno realizzato una sola volta, a titolo sperimentale.

Banche come apripista
Il settore dove il bilancio sociale ha trovato i maggiori consensi è quello bancario, in particolare tra le banche popolari e di credito cooperativo, caratterizzate storicamente da una forte sensibilità verso la comunità locale. «Nel settore del credito questo documento è ancora più importante», sottolinea Roberto Marziantonio, presidente dell’Istituto europeo per il bilancio sociale , «perché le banche agiscono trasversalmente a tutti gli altri settori e possono agire da catalizzatore per tutta l’economia verso una maggiore responsabilità sociale d’impresa».
Nel maggio scorso, l’istituto ha curato per conto dell’Abi – Associazione bancaria italiana un modello di redazione del bilancio sociale per le aziende di credito, che dovrebbe diventare un benchmark di settore al quale fare riferimento, anche per confrontare i documenti di diverse aziende. Altri modelli sono in preparazione per la chimica, le aziende sanitarie e le municipalizzate. È già disponibile, inoltre, un modello comune a tutta l’industria elaborato dal Gbs – Gruppo di studio per il bilancio sociale, che ha istituito da poche settimane a Milano il comitato scientifico con l’apporto del mondo universitario, di Assolombarda, delle società di revisione e dell’ordine dei dottori commercialisti. La metodologia di elaborazione del documento proposta da Gbs prevede la divisione in tre parti:
1) l’identità aziendale, in cui viene esplicitata la mission aziendale, le linee strategiche e i valori etici di riferimento;
2) la produzione e distribuzione del valore aggiunto, punto di aggancio con il bilancio civilistico, dal quale deve riportare e riclassificare i dati del conto economico evidenziando le quote di valore aggiunto (in pratica, il margine di profitto lordo) destinate alle diverse categorie di stakeholder: dipendenti, pubblica amministrazione, azionisti, banche e collettività. È il cuore del documento;
3) la relazione sociale, analoga alla relazione degli amministratori allegata al bilancio d’esercizio, che interpreta e descrive i dati economici.
Un aspetto ancora poco considerato nella redazione del bilancio è il coinvolgimento delle parti interessate nel processo di realizzazione, attraverso incontri preliminari. Un esempio innovativo in questo senso arriva da Coop Adriatica di Bologna, gigante del sistema Legacoop, che il prossimo 13 maggio incontrerà gli stakeholder in vista della pubblicazione del documento per l’anno 2002.

Info: www.bilanciosociale.it

Muzi Falconi: «Vi spiego perché le best practices s?imporranno»

Il riferimento a best practices condivise è un punto essenziale per la credibilità del bilancio sociale, che diversamente rischia di trasformarsi in un orpello dove ogni azienda dice quello che conviene alla propria immagine. I problemi sul tappeto sono tanti e non solo di contenuto: la periodicità, che dovrebbe diventare fissa e non occasionale; l?opportunità di pubblicarlo contestualmente al bilancio di esercizio e non sei mesi dopo; le modalità di diffusione agli stakeholder (soprattutto i più deboli); la coordinazione con il bilancio ambientale. Ne abbiamo parlato con Toni Muzi Falconi, presidente Ferpi, coordinatore della commissione per l?Oscar di bilancio sociale.
Vita: Il bilancio sociale è una cosa seria o make-up aziendale?
Toni Muzi Falconi: Se fosse una presa in giro le aziende non spenderebbero tempo e soldi per farlo. Il problema è che se ne parla molto, ma non si è ancora capito bene che cosa sia.
Vita: L?Oscar di bilancio potrebbe fare la sua parte?
Muzi Falconi: Certamente, potrebbe definire con chiarezza le specifiche. La sezione sociale del premio esiste da sei anni ed è già stata cambiata più volte: bilancio sociale, poi ambientale, poi socioambientale, poi di sostenibilità, insomma troppi cambiamenti per un prodotto che è ancora in fase di decollo.
Vita: Le aziende italiane impegnate su questo fronte sono ancora troppo poche. Perché?
Muzi Falconi: Forse non c?è ancora la consapevolezza che la legittimazione sociale è un fattore strategico, si ragiona troppo sul breve periodo. Poi, ancora una volta, la mancanza di riferimenti precisi è un ostacolo alla diffusione di questo strumento. Ma si stanno facendo molti passi avanti, sulla traccia delle best practices definite dall?Unione Europea.
Vita: Non c?è il rischio di un?eccessiva promozione del prodotto presso le imprese, magari a costo di ridurlo a un gigantesco dépliant?
Muzi Falconi: Torniamo sempre al punto: con le specifiche, questo non succederà. Comunque io dico di andare avanti, anche a rischio che qualcuno ci faccia business: in questo momento è più importante allargare il mercato, poi la selezione arriverà a punire chi ha fatto il furbo.

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