Il caso

Se parlare di migranti a scuola diventa un tabù

In Friuli Venezia Giulia la Giunta regionale è intervenuta con una dura nota chiedendo chiarimenti all'Ufficio scolastico: in una scuola media triestina erano stati invitati un'associazione e una persona migrante per una testimonianza. Secondo gli amministratori, sarebbero le istituzioni competenti - Prefettura, Comune, Polizia e Regione - ad avere diritto di parola in tema. Le associazioni non ci stanno

di Veronica Rossi

Martedì 21 gli studenti delle seconde e terze della scuola secondaria di primo grado dell’istituto comprensivo Italo Svevo di Trieste avrebbero dovuto incontrare i rappresentanti di un’associazione che sul territorio si occupa di accoglienza, il Consorzio italiano di solidarietà – Ics, insieme a una persona migrante, che avrebbe portato la sua testimonianza.

Invece non è successo. La Giunta regionale ha preso posizione contro l’evento – attraverso le parole di Alessia Rosolen, assessora all’istruzione, e Pierpaolo Roberti, assessore alla sicurezza – dichiarando che «una scuola pubblica su un argomento come l’immigrazione dovrebbe offrire una rappresentazione della realtà riportata primariamente dalle istituzioni che hanno competenza in materia: la Prefettura sull’accoglienza, la Polizia sui flussi irregolari e sul rilascio dei permessi, il Comune sulla gestione dei minori non accompagnati, la Regione sulle norme di settore», come scritto sul comunicato diffuso sul sito della Regione. I due assessori hanno chiesto chiarimenti all’Ufficio scolastico regionale, che ha parlato di «incidente organizzativo».

Questa decisione della Giunta «desta sconcerto e preoccupazione» nell’Associazione Carta di Roma, che si occupa della corretta informazione sul tema dell’immigrazione, e che ha diffuso una presa di posizione sull’accaduto, sottoscritta da molte realtà del Terzo settore, tra cui Arci e le Acli.

Le Acli: scuola, spazio villipeso

«Le Acli esprimono preoccupazione in merito alla decisione della Giunta del Governo regionale del Friuli Venezia Giulia di impedire all’interno di un istituto scolastico di Trieste, un incontro programmato sul tema delle migrazioni», afferma Gianluca Mastrovito, coordinatore nazionale delle politiche sull’immigrazione delle Acli. «Una scelta che ha il sapore della censura, che di fatto mina il valore più alto della prima comunità educante dopo la famiglia, la scuola; l’educare e formare al discernimento. Qui prima ancora del merito, riteniamo sia lo spazio ad essere stato deliberatamente vilipeso e sminuito a campo del contendere». Secondo il rappresentante delle Acli, scuole e università meriterebbero di essere assimilate a luoghi diplomatici, in cui idee e pensieri possano formarsi e autodeterminarsi senza condizionamenti e le parole siano in grado di circolare ed essere espresse in libertà ed autonomia. Un modo nuovo di vivere la scuola, insomma, che da luogo di pura trasmissione dei contenuti, diventa sempre più luogo dove si può cambiare la prospettiva didattica, modificando gli strumenti se necessario e aumentandone le opportunità.

«Il nostro sforzo, pedagogico, politico e sociale dovrà essere sempre più orientato a favorire occasioni di incontri, confronto, momenti formativi utili alla costruzione di un pensiero collettivo, soprattutto per i più giovani. 80 anni di storia animata da una costitutiva tensione alla pedagogia sociale, come Acli ci anima la convinzione che la politica non debba e non possa voler orientare le scelte educative e formative delle scuole così come la loro realizzazione e che tale atto sia piuttosto sterile, disfunzionale e diseducativo».

Leggere insieme le migrazioni

Secondo il responsabile aclista «immigrazioni ed emigrazioni, mobilità nei confini vanno lette insieme», conclude infatti, «potendo riscoprire in esse tanti tratti che li accomuna e con esse le storie e la vita di milioni di persone umane. Il nazionalismo metodologico, quello che rileva il fenomeno solo se implica in passaggio di un confine o di una frontiera riduce la nostra capacità di comprenderne le conseguenze e accettarne le ragioni. Educare i giovani alla libertà di pensiero, li rende capaci invece di analizzare criticamente la realtà, prendere decisioni informate e innovare.
Nel tempo della terza guerra mondiale a pezzi, le cui cause sono anche legate alla incapacità di dialogo, comprensione e linguaggi comuni, allora, l’educazione, la formazione e la capacità di autodeterminazione del pensiero, possono diventare antidoti e strumenti di promozione dei valori come il rispetto, la solidarietà, l’inclusione e l’accoglienza costitutivi di una società democratica e pacifica».

Arci: la Regione impari la libertà di insegnamento

Dello stesso avviso anche Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci nazionale. «La Regione Friuli Venezia Giulia probabilmente non sa cosa voglia dire libertà di insegnamento», dice. «O forse lo sa, ma è infastidita dalla possibilità, prevista in Costituzione, di scegliere liberamente come insegnare. Forse ci si troverebbe più a proprio agio in Afghanistan, dove il regime talebano decide cosa è giusto e cosa è sbagliato, anche nelle scuole. Forse non è tanto la libertà d’informazione ad essere il problema, ma la libertà in senso lato. Per fortuna, però, siamo in Italia, c’è una Costituzione fra le più belle del mondo, c’è la magistratura che ha il dovere di far applicare le leggi anche a chi governa, poiché governare non vuol dire essere padroni della pubblica amministrazione, ma essere al servizio della pubblica amministrazione. Poi bisognerebbe spiegare a questi signori che di immigrazione, con studentesse e studenti, dovrebbero parlarne le persone di origine straniera, raccontando le loro storie, e le organizzazioni della società civile e non la polizia o il Ministero dell’Interno, che dovrebbero occuparsi di ben altre questioni».

Nella foto di apertura, di Mauro Scrobogna per LaPresse, migranti pachistani fermati sul confine italo-sloveno nei pressi di Trieste.

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