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Attivismo civico & Terzo settore

Se non dà speranza l’educazione è solo ingerenza

Parla Michele Pennisi, vescovo in Sicilia

di Chiara Cantoni

Oggi vince la tentazione
di una neutralità di fronte
ai ragazzi. Ma è un atteggiamento sterile.
Che produce disincanto
e solitudine. E delude
la domanda di felicità
«L’educazione costitutiva della natura evolutiva e relazionale dell’uomo chiede di essere proposta come un’esperienza integrale e positiva della vita». Di questa affascinante sfida, monsignor Michele Pennisi, vescovo della diocesi di Piazza Armerina, parlerà il 25 settembre a Rovereto.
Vita: Cosa significa partecipare alla costruzione di una coscienza autonoma, capace di pensiero?
Michele Pennisi: Educare non è trasmettere informazioni; vuol dire prendere per mano qualcuno e aiutarlo a percepire il senso integrale della realtà, a maturare la propria intelligenza nella ricerca della verità per discernere il vero dal falso, a sviluppare la propria coscienza nella capacità di distinguere il bene dal male e la volontà nell’impresa rischiosa della libertà di elaborare un proprio progetto coerente di vita. Non ha senso, per esempio, partecipare a marce antimafia se poi si consuma droga o si acquista in negozi che pagano il pizzo.
Vita: Di cosa c’è più bisogno per formare coscienze libere?
Pennisi: Per educare la domanda di felicità occorre speranza, contro il nichilismo che comincia a serpeggiare anche fra i giovani. Se esistono solo interpretazioni incapaci di condurre alla verità, ogni tentativo educativo è un’indebita ingerenza. In nome di una sterile neutralità i ragazzi sono abbandonati alla solitudine. Il politeismo dei valori si traduce in tolleranza relativista, ben lontana dal rispetto per l’altro.
Vita: Quale rapporto esiste fra verità e creatività?
Pennisi: Nonostante l’esaltazione della libertà, la persona rischia oggi di non essere più al centro del processo educativo. La ricerca onesta della verità a partire da un’ipotesi unitaria sul senso della vita da verificare ogni giorno e in ogni circostanza, lungi dal mortificare l’iniziativa personale, la apre alla massima creatività.
Vita: E nella sua Sicilia educare si connota in modo particolare?
Pennisi: Per resistere alla mentalità mafiosa è necessario un lavoro paziente, capillare, volto, secondo lo spirito di don Bosco, a educare più che a reprimere. Indicando esempi efficaci come quello di don Pino Puglisi o don Luigi Sturzo, il quale scriveva, in Appello ai Siciliani, che per un autentico sviluppo è necessario puntare su «scuole serie, scuole importanti, scuole numerose, scuole che insegnano anche senza dare diplomi, al posto di scuole che danno diplomi fasulli a ragazzi senza cultura».
Vita: Quali domande urgono nel cuore dei ragazzi che incontra?
Pennisi: Vado spesso nelle classi e raramente gli studenti mi pongono domande di maniera, per esempio, sul rapporto fra scienza e fede. Più spesso sono domande reali a cui non trovano risposta: sull’affettività, sul rapporto coi genitori, sul futuro e la felicità, cioè, sul senso della vita.


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