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Se non cambiano produzione e distribuzione alimentare fallisce l’obiettivo Fame zero

Lo denuncia l'ong, dati alla mano, nel suo nuovo rapporto Nutrition at stake "Tutela dei diritti e modelli alimentari sostenibili sono la chiave per un cambio di passo nella lotta alla fame". Il 4 novembre a Milano si tiene il Global Nutrition Summit 2017

di Redazione

In un mondo in cui una persona su tre è malnutrita e in cui il numero di affamati è passato da 777 milioni nel 2015 a 815 milioni di persone nel 2016, l’obiettivo “Fame zero” contenuto nell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile (SDGs 2), che stabilisce di sradicare la fame e la malnutrizione in tutte le forme entro il 2030, non potrà essere raggiunto a meno che non si intervenga tempestivamente con un radicale cambio di paradigma del sistema di produzione e distribuzione alimentare, in favore di modelli più democratici, inclusivi e sostenibili. Questo il parere dell'ong ActionAid Italia illustrato nel rapporto “Nutrition at stake” (disponibile a questo link) lanciato alla vigilia del “Global Nutrition Summit 2017”, l’evento di alto livello che si terrà a Milano il prossimo 4 novembre con l’obiettivo di favorire un confronto fra governi, società civile e stakeholders sui prossimi impegni da intraprendere per affrontare il problema della malnutrizione a livello globale.

Alla base di fame e malnutrizione ci sono cause socio-economiche e politiche, come povertà, marginalizzazione e diseguaglianze. Vanno però considerati altri fattori come la transizione nutrizionale – cioè il mutamento che sta avvenendo nei Paesi in via di sviluppo dalle diete tradizionali caratterizzate da un elevato tasso di consumo di cereali e fibre ad una più “occidentale” caratterizzata zuccheri, grassi, proteine animali e cibo processato – il degrado ambientale e i cambiamenti climatici, che rischiano di aggravare in modo significativo l’insicurezza alimentare e nutrizionale a livello globale. I dati sulla malnutrizione mostrano come l’attuale sistema alimentare industriale non sia in grado di garantire una dieta adeguata alla maggioranza della popolazione mondiale. I grandi produttori sono i principali beneficiari di questo modello, a spese dell’ambiente e della maggioranza dei piccoli contadini che rappresentano, invece, la spina dorsale dei sistemi alimentari territoriali. Fame e malnutrizione sono le manifestazioni di un sistema alimentare che ha fallito nel suo compito fondamentale di sfamare le persone. Per questi motivi è fondamentale promuovere sistemi alimentari sostenibili e diete sane.

Il rapporto di ActionAid individua quattro azioni chiave da mettere in campo per sconfiggere la fame entro il 2030. In primo luogo, i governi devono promuovere un cambio di paradigma alimentare, sostenendo la transizione verso modelli agro-ecologici e rafforzando i sistemi alimentari locali partecipati. La fame, infatti, non è un problema di quantità ma di accesso. L’agro-ecologia promuove un approccio complessivo alla produzione di cibo mirato a preservare la ricchezza dei suoli e degli ecosistemi, combinando tradizione, innovazione e scienza per trarre benefici dall'ambiente e mirando a promuovere relazioni eque tra tutti gli attori coinvolti nella produzione e consumo del cibo. Lo sviluppo di sistemi agro-ecologici differenziati è la risposta più efficace alla lotta alla fame per diversi motivi: è il modello più diffuso tra i piccoli agricoltori che operano su superfici ridotte, come in Africa; diverse pratiche agro-ecologiche si basano su tecniche tradizionali che non dipendono dall’agricoltura moderna, aspetto che le rende maggiormente applicabili in contesti di povertà; le ricerche degli ultimi anni hanno mostrato quanto l’agricoltura su piccola scala sia più produttiva di quella su larga scala nel momento in cui si prende in considerazione l’intera produzione e non soltanto la resa della singola coltivazione.

In secondo luogo, i governi devono mettere al centro della loro azione di contrasto alla fame e alla malnutrizione i diritti delle donne, a partire dall’accesso alla terra e alle risorse naturali. La FAO sostiene infatti che, se le donne avessero lo stesso accesso degli uomini alle risorse produttive, i raccolti aumenterebbero del 20-30%, determinando un incremento della produzione agricola nei Paesi in via di sviluppo tra il 2.5% e il 4%, che si tradurrebbe in una riduzione del numero degli affamati tra i 100 e i 150 milioni di persone.

Altro passo importante è la limitazione dell’indebita influenza delle multinazionali dell’agribusiness nel sistema di produzione e distribuzione alimentare: il potere di mercato di queste imprese sta via via crescendo anche grazie a fusioni e acquisizioni e gli impatti negativi di questo fenomeno non si fanno sentire solo sulla produzione, ma anche nel consumo, attraverso, ad esempio, la commercializzazione di cibo e bevande ad alto contenuto di zucchero e sale che favoriscono abitudini alimentari poco sane, causa di sovrappeso e obesità. E’ quindi necessario che i governi garantiscano il rispetto dei diritti umani da parte delle grandi imprese attraverso l’elaborazione di regole vincolanti.

E’ infine fondamentale la promozione della democrazia alimentare e l’accountability a tutti i livelli, a partire dalla governance internazionale, assicurando che il Comitato Mondiale per la Sicurezza Alimentare (CFS) rimanga il principale organo di controllo e monitoraggio di tutte le iniziative globali per la lotta alla fame e alla malnutrizione e promuovendo politiche alimentari locali partecipate sull’esempio delle esperienze avviate all’interno del Milan Urban Food Policy Pact (MUFPP).

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