Economia
Se l’impact investing entra nella Casa del Popolo
«Se qualche tempo addietro, qualcuno mi avesse detto che il circuito delle Case del Popolo avrebbe ospitato un dibatto sull’impact investing, avrei dubitato del mio interlocutore. Eppure... ». L'intervento del direttore di Human Foundation
Se qualche tempo addietro, qualcuno mi avesse detto che il circuito delle Case del Popolo avrebbe ospitato un dibatto sull’impact investing, avrei dubitato del mio interlocutore. Eppure, troppo spesso tendiamo a dimenticare che la cifra del tempo nel quale viviamo è quella dei “generi confusi”, per utilizzare un’illuminante definizione dell’antropologo americano Clifford Geertz.
La confusione dei generi non poteva, quindi, non manifestarsi in spazi densi di relazioni e rappresentazioni simboliche come le Case del Popolo. In quella che fu la temperata socialdemocrazia “appenninica”, le forze politiche, sociali e produttive seppero favorire un “compromesso alto” tra capitale e lavoro, dando vita ad un’esperienza davvero originale, in grado di garantire sia la generazione di profitti sia un soddisfacente tenore di vita. All’interno di questo modello, le Case del Popolo furono uno spazio fondamentale nel costruzione dell’identità operaia. Sfuggendo al rapido declino della campagna, il contadino indossava la tuta blu e diveniva forza-lavoro necessaria a sostenere la ruggente industrializzazione del secolo scorso. In continuità con le straordinarie esperienze di auto-organizzazione operaia, da cui partirono mutualismo e cooperativismo, le Case del Popolo furono luoghi di socialità, di protagonismo politico e sindacale, di gestione del tempo libero. L’esaurirsi di quel modello sociale ed economico potrebbe relegare le Case del Popolo ad una testimonianza sbiadita di un passato lontano. La nozione stessa di popolo tende a scivolare via nel confuso caleidoscopio di soggettività che attraversano, veloci e silenziose, la società contemporanea.
Eppure, provare a ricostruire delle centralità all’interno delle quali far confluire le tante, troppe, “passioni tristi” dei nostri tempi, parafrasando Benasayag e Schmit, potrebbe rappresentare un potente antidoto alla solitudine sociale. In una nuova cartografia, necessariamente policentrica e diffusa, vi è, a mio avviso, un interessante spazio per riposizionare e rigenerare la missione delle Case del Popolo.
L’iniziativa sull’impact investing, alla quale ho partecipato la scorsa settimana, dimostra quanto possa essere ampio questo spazio di manovra. Un dibattito estremamente vivace, guidato con sapienza dal professor Stefano Zamagni, nel corso del quale è emerso un dato piuttosto sorprendente, almeno per coloro che non sono addentro alla riflessione sugli investimenti ad impatto sociale, ovvero un’evidente asimmetria tra l’offerta e la domanda di capitali. Al di là delle barriere normative, parzialmente rimosse dalla riforma del Terzo Settore, credo che una delle ragioni legate alla bassa predisposizione al rischio d’impresa, e di conseguenza all’utilizzo della leva finanziaria, sia legata al meccanismo di relazione tra la PA e le organizzazioni del Terzo Settore.
Una questione da ricercare, dunque, nella modalità con cui è stato praticato il modello di sussidiarietà, utilizzato non come strumento di programmazione e gestione dei servizi, in una logica di coproduzione, quanto piuttosto una soluzione per contenere i costi della spesa sociale. In questa interpretazione distorsiva della sussidiarietà da parte della PA, il Terzo Settore è rimasto impigliato nella logica del capitolato, con la conseguente atrofizzazione delle capacità di immaginare nuove soluzione ai bisogni sociali. La PA, disconoscendo il principio di sussidiarietà, ha assunto, grazie al controllo sui cordoni della borsa, il ruolo di “esegeta” dei bisogni sociali, svuotando progressivamente di senso i processi partecipativi per la stesura dei piani sociali. Il lascito della crisi, con la conseguente riduzione delle risorse per il welfare, ha paradossalmente determinato un punto di rottura, assolutamente salutare, in questo modello di relazione.
Nell’affrancarsi dalla PA, un numero crescente di organizzazioni del Terzo Settore ha fortunatamente compreso che la sostenibilità sociale ed economica passa attraverso la riscoperta della propria forza generativa: prefigurare e realizzare nuove soluzioni che rispondano all’ampio spettro di bisogni che attraversano la società. La maturazione di questo processo non potrà che scaturire nella necessità di intercettare forme di capitale paziente, disposto ad accompagnare le organizzazioni verso nuove sfide, dal cui esito dipende la qualità del welfare e l’inclusività della nostra società. Forse, non è poi così strano che l'impact investing sia nella Casa del Popolo.
In foto: la Casa del popolo delle Roncaglie di Masio nell'alessandrino
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