Mondo

Se le buone cause non hanno più voce

Molte associazioni rischiano di sparire perche' non si fanno conoscere,non allargano la lista dei donatori,non coinvolgono il pubblico per finanziare la propria mission.Che fare?

di Stefania Olivieri

Un piccolo ufficio, un computer e due volontari? Oggi non bastano più. Se le ong italiane vogliono sviluppare al meglio le loro potenzialità devono adottare tecniche di comunicazione a dir poco ?imprenditoriali?. Un esempio? Innanzitutto strutturare al loro interno una strategia di comunicazione istituzionalizzata, quindi prevedere nei loro budget costi di promozione e di pubblicità. Con un solo obiettivo: raccogliere fondi per finanziare le loro ?missioni?: la cooperazione, l?emergenza, le adozioni, i diritti umani e l?educazione allo sviluppo. Lo rivela un?indagine condotta da una giovane ricercatrice universitaria, Carlotta Segre, intervistando i responsabili di 21 delle 130 ong che operano sul territorio italiano. «Oggi che la legge sulla cooperazione ha ridotto ulteriormente le risorse per le organizzazioni non governative», afferma Carlotta Segre, « bisogna uscire da un?ottica associativa e adottarne una più aziendale e strategica. Le associazioni devono capire che è importantissimo comunicare, farsi conoscere, acquisire una metodologia di raccolta fondi che punti a coinvolgere sempre più i privati». All?informazione già carente nel nostro Paese sul settore delle relazioni internazionali di cui fanno parte le ong, si aggiunge la difficoltà incontrata dalle associazioni nel comunicare e quindi legittimarsi presso l?opinione pubblica. Il risultato? La credibilità e la sostenibilità delle loro azioni diventano più difficoltose. Dalla ricerca emerge, infatti, che i finanziamenti provengono soprattutto da fonti pubbliche e con percentuali molto variabili. Si va dal 5-70% per quel che riguarda il Mae, al 1O-80% per la Comunità europea. Risorse che si rivelano decisamente insufficienti rispetto ai bisogni della vita associativa e alle necessità operative delle stesse organizzazioni. Che fare allora? «Adottare una nuova metodologia di raccolta fondi verso il privato, in modo da coinvolgerlo e renderlo sempre più partecipe delle diverse attività che le associazioni svolgono», spiega la dottoressa Segre. «In pratica si tratta di attrezzarsi a pubblicizzare il prodotto». Dalla ricerca emerge che tutte le ong hanno un portafoglio donatori più o meno ampio, che va dai 3000 fino ai 60 mila nomi. Le più organizzate hanno predisposto addirittura un database che viene continuamente aggiornato. Il passo successivo sarà l?avvicinamento progressivo a un?ottica di marketing, indispensabile per rendere i possibili donatori partecipi delle attività, dei progetti, degli ideali. Il tutto rivolto a un pubblico che sembra sempre più interessato a informarsi, conoscere e quindi eventualmente dare il proprio contributo economico. Giornali, riviste, pubblicazioni, locandine, pieghevoli, ma anche serate a tema e concerti: la sensibilizzazione del privato avviene coi mezzi più vari, perché tutto serve per farsi conoscere e promuovere la ?missione?. Visti gli alti costi delle campagne pubblicitarie le poche ong che ottengono spot su tv e media tengono a sottolineare la gratuità degli spazi che ottengono. «Alcune, sostenute da grandi strutture, dispongono di spazi per feste o concerti», afferma la ricercatrice, «altre cercano di coinvolgere il pubblico attraverso eventi o contribuiti di personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport che si prestano come testimonial del ?prodotto?». Decisamente più semplice e alla portata di associazioni di piccole dimensioni, però, è l?attività di mailing che le ong svolgono sia verso i donatori già acquisiti che verso i nuovi potenziali sostenitori. Il contenuto del messaggio può variare a seconda del tipo di interventi nei vari Paesi: molte ong propongono azioni specifiche, altre invece tendono a chiedere un contributo generico piuttosto che finalizzato a un progetto preciso o a una situazione di emergenza. «Importante è finalizzare a una o più cause concrete il messaggio che si vuole trasmettere», conclude Carlotta Segre. «È fondamentale fare capire quello che si realizza o che si vuole concretizzare, indipendentemente dal mezzo scelto per trasmettere l’informazione. Si deve investire in comunicazione, pena il rischio di lavorare senza che il mondo sappia che cosa si sta facendo». Fate cosi’,troverete nuovi donatori «È una questione di mancanza di cultura: si parla tanto di una maggiore attenzione per il non profit, ma le richieste di donazioni vengo sempre guardate con sospetto». Così Anna Schiavoni, del Cocis (Coordinamento ong per la cooperazione allo sviluppo) commenta le difficoltà di comunicazione tra ong italiane e istituti di credito. Che non prendono neppure in considerazione l?idea di finanziare progetti di sviluppo. E questo nonostante le donazioni a organizazzioni governative siano, per legge, deducibili dalle tasse. Che fare dunque? Anna Schiavoni suggerisce di guardare all?Europa, «dove i finanziamenti sono annuali e non concessi solo per progetti specifici. E, soprattutto, dove le ong fanno leva sulla positività dell?agire piuttosto che sul pietismo». Con strategie di comunicazione efficienti che si basano su principi invalicabili: appelli sempre politicamente corretti e niente immagini choc per suscitare la compassione dei potenziali donatori. «Il punto», spiega la coordinatrice del Cocis, «è riuscire a raccogliere fondi per progetti di sviluppo di lungo periodo oltre che per le emergenze».


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