Non profit

Se la sfida è tutta nello sguardo

Editoriale

di Giuseppe Frangi

Nel gennaio 1961 Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia fecero un viaggio in India e ne trassero due diari che fotografano bene le differenze tra i due. Quello di Moravia si intitolava Un’idea dell’India, quello di Pasolini L’odore dell’India. Dal titolo del primo traspare l’ambizione di un intellettuale che cerca di inquadrare un fenomeno. Dall’altro si percepisce come preminente un impatto emotivo, quasi una fascinazione subìta. La differenza sostanziale tra i due sta nella reazione ad un incontro con una suora allora semisconosciuta che assisteva i lebbrosi a Calcutta. Moravia non ne fa cenno, Pasolini invece le dedica una pagina commossa. Nella sua semplicità la piccola suora, spiega Pasolini, affronta come può una piaga spaventosa dell’India di quegli anni: quella della lebbra. PPP resta colpito da quel suo «occhio dolce che, dove guarda, “vede”» e dalla «bontà senza aloni sentimentali, senza attese, tranquilla e tranquillizzante, potentemente pratica».
Di Madre Teresa e di quelle migliaia di donne che si sono messe sulla sua strada continuando e aggiornando la grande opera da lei iniziata, nel segno di una «bontà potentemente pratica», leggerete nelle prossime pagine. Qui ci interessa restare su questa duplicità di sguardo. Da una parte uno sguardo che non “vede”, quello di Moravia. E dall’altra uno sguardo che invece coglie qualcosa di inaspettato e se ne stupisce. E accetta anche di lasciarsi spiazzare. Quello di Pasolini. Da una parte un intellettuale che si nasconde abilmente dietro le sue pagine e le sue analisi; dall’altra un intellettuale che invece si lascia scoprire ogni volta nudo davanti alla realtà.
La cosa non riguarda ovviamente solo chi fa il mestiere di scrittore o di pensatore. La cosa riguarda la vita e l’intelligenza di noi tutti, nel modo con cui guardiamo al mondo malmesso che abbiamo davanti. Oggi è facile, quasi legittimo, rifugiarsi in un pessimismo davanti alle cose. Chiudersi nel guscio di un moralismo nutrito solo dalle nostre (opinabilissime) opinioni. L’aria che si respira sui giornali, nei talk show, persino nelle chiacchiere dei bar porta lì: ad arroccarci nel fatalismo davanti ad una realtà ritenuta incorreggibile.
E se invece provassimo a ribaltare la questione. A chiedere a noi e a tutti se il problema non stia tanto nella realtà quanto nel modo con cui noi si guarda alla realtà? «Stare di fronte alla realtà che ci è data, affrontarla. Osservare molto, per uscire dalle nostre ossessioni», raccomandava in una recente intervista un grande missionario del nostro tempo, padre Aldo Trento attivo in Paraguay. Anche dalle sue parole si deduce il valore dell’osservare. Dello sguardo. E ci ha colpito che sullo stesso punto, da strade ben diverse, sia arrivato un giovane scrittore di successo come Giorgio Vasta, di cui potrete leggere una bella intervista nelle prossime pagine. Dice Vasta: «Questa richiesta di una disponibilità dello sguardo nei confronti di tutto è per me un punto di partenza imprescindibile. A decidere di una scala di valori e della sua pregnanza è lo sguardo che le osserva, attraverso il quale si può scoprire che dentro una certa cosa, anche la più umile, sussiste una potenzialità probabilmente inespressa».

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