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Se la politica andasse sul lettino dello psicoanalista
Una campagna elettorale ridotta a un teatrino e povera di contenuti porta i cittadini a sentirsi dei sudditi cui viene chiesto di scegliere tra il bene e il male
Vi chiederete, cari lettori, perché tanta attenzione alla politica da parte di Vita in queste settimane. Il motivo è dettato da una sensazione condivisa tra noi che facciamo il giornale. Un sentimento drammatico che ci costringe a questa insistenza: mai come in questa campagna elettorale la politica è degradata a isterico teatrino, a rissa demagogica, a fanatismo devastante, a rito minaccioso.
Un’analisi spicciola ci fa porta ragionevolmente a credere che sia innanzitutto responsabilità di Berlusconi, che ha fatto del voto del 13 maggio una sorta di plebiscito su se stesso. Ma la sinistra, da parte sua, ha la gravissima colpa di essere stata al gioco e di essersi presentata al voto dopo cinque anni di governo francamente deludenti. Una sinistra “luttazzizzata” e suicida che ha fatto dell’incoronazione (o del siluramento) di Berlusconi l’unico contenuto visibile di questa campagna elettorale. Questo scenario è drammatico, per due motivi. Primo, perché i contenuti sono ovviamente passati in secondo piano, se mai sono stati davvero pensati e discussi. Secondo, perché una campagna elettorale così comporta necessariamente che l’elettore non si concepisca più come cittadino ma come suddito.
Un cittadino pensa, giudica, discute e si schiera, in base alla propria storia e al proprio modo di guardare il mondo. A un suddito invece viene chiesto di aderire, di stare o di qua o di là, quasi di diventare un iniziato che guarda al mondo senza più sfumature: da una parte c’è il bene e dall’altra il male. Da una parte un messia, dall’altra satana.
E che la politica stia guardando agli elettori come sudditi è una sensazione diffusa: lo denunciano su questo numero due protagonisti della nostra vita sociale come Tom Benetollo e Antonio Mazzi. Lo hanno detto nelle scorse settimane due politici scafati come Giulio Andreotti e Fausto Bertinotti. Ma il giudizio più chiaro su quanto sta accadendo lo ha espresso uno dei maggiori psicoanalisti italiani, Giacomo Contri, in un’intervista che ho avuto la fortuna di fargli e che verrà pubblicata sul mensile 30Giorni (e, a ben pensarci, è una cosa logica che sia uno psicoanalista a capire meglio quanto sta accadendo: questa campagna elettorale sta mostrando un’invasività devastante nella psicologia degli italiani, come ha dimostrato sulla prima pagina della Stampa Massimo Gramellini, raccontando di due amanti che hanno rotto il rapporto perché divisi dal giudizio su Berlusconi).
Se uno psicoanalista di fama si decide a un’uscita fuori dal suo seminato, l’urgenza deve esser davvero grande. Contri parla di «un’onda che sta per arrivare, una crescente oleosa marea nera» che ricorda quella dell’occultismo o quella denunciata, con il suo grande fiuto profetico, da Pasolini con il suo estremo capolavoro, Petrolio. «La fine della politica di cui si è tanto parlato», spiega Contri, «è la fine dell’individuo cittadino». Perché la politica è quella che accetta il compromesso, cioè la possibilità di esistenza del nemico: «anzi, tende a risolvere in anticipo l’esistenza stessa del nemico». Il compromesso permette all’individuo di essere, non lo annulla come ogni prevaricazione fondamentalista. Contri rilancia una sua idea liberante e preziosa per ogni uomo intelligente e innamorato del reale: «Non domandiamo alla coppia Stato/società di essere fonte della nostra salute psichica, della nostra capacità di pensare e di agire, della nostra pace personale o coniugale, del nostro saper essere cittadini cioè politici, della nostra intelligenza, della nostra felicità, della nostra capacità di iniziativa in tutti i sensi e anzitutto in quello della produzione dei rapporti». Questa è la premessa per restituire sovranità alla persona e per permetterle di essere polo di positività nel reale.
Suggerimenti preziosi, perché tutto quello che in questi anni è stato costruito nel tessuto sociale possa trovare cittadinanza nella politica. Scommessa ardua, dato il contesto, ma scommessa che vale la pena di tentare, in tutte le forme che ciascuno riterrà più idonee alla propria storia e alla propria sensibilità.
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