Cultura

Se la parola pace diventa scomoda anche per chi dovrebbe farla marciare

Lo so benissimo che la pace, oggi, nel mondo, non sta certo vivendo un periodo di fortuna. Che è quotidianamente violata e violentata, da chi se ne dichiara esplicitamente nemico...

di Marco Revelli

Lo so benissimo che la pace, oggi, nel mondo, non sta certo vivendo un periodo di fortuna.

Che è quotidianamente violata e violentata, da chi se ne dichiara esplicitamente nemico, ma anche (e soprattutto) dai troppi falsi amici.

Che il suo nome abbonda su troppe bocche per mascherare politiche e pratiche di guerra. E la sua retorica diventa insopportabile quasi come quella di guerra, quando serve a mascherare missioni militari e occupazioni armate.

So anche che troppi politici hanno marciato sotto le sue bandiere dopo aver votato bilanci di guerra e stanziamenti miliardari per gli armamenti, senza arrossire. E che oggi anche i generali armati fino ai denti definiscono i loro reparti ?forze di pace?, con un rischio mortale di inquinamento del linguaggio e di tradimento della parola.

No pace no diritti
Lo so tutto questo. Ma non mi sembra una buona ragione per sospenderne, sia pur temporaneamente, l?uso, come sembra aver proposto di recente Flavio Lotti, della Tavola della pace, a proposito della marcia Perugia -Assisi, da sempre ?la? Marcia della pace. E di sostituirla con la formula del «Tutti i diritti umani per tutti», in attesa di un più approfondito chiarimento sul suo significato profondo.

Non mi sembra una buona idea intanto perché il significato della parola ?pace? è, in verità, chiarissimo. E resta straordinariamente impegnativo anche nella sua accezione più generica e semplice di ?assenza di guerra? e di rifiuto della violenza nel perseguimento di qualsiasi causa, anche la più giusta. Si tratterebbe, tutt?al più – per respingerne l?inflazione retorica e l?abuso – di richiederne con maggior vigore e rigore il rispetto. E di denunciarne con maggior forza l?uso ipocrita.

E poi, perché sostituirla con il richiamo ai ?diritti? non ci salva dall?abuso retorico: quanta retorica dei diritti circola oggi in Italia e nel mondo da parte di chi chiude tutti e due gli occhi davanti alla loro quotidiana violazione? E quanto abuso di essi si fa, spinto fino a giustificare guerre condotte nel loro nome? E d?altra parte rischia di suggerire l?idea di una qualche differenza di fondo, o peggio ancora di una contrapposizione e concorrenza tra il tema dei diritti e quello della pace. Idea del tutto falsa, perché la pace è il genus all?interno del quale i diritti si pongono come species: non ci sono diritti senza pace. Restano un flatus vocis là dove conta solo il rapporto di forza, e della vita degli uomini decidono le armi.

Può darsi che la parola pace sia diventata oggi scomoda, per molti. Soprattutto per quelli che stanno in alto e pretendono di decidere per tutti. Può darsi che la sua testarda riproposizione alla testa delle marce crei imbarazzo. E sia avvertita da tanti professionisti del governo come ?impolitica? – magari qualcuno si spingerà fino ad assimilarla all??anti politica?, secondo un vezzo oggi assai di moda -. Ma in questo sta la sua forza. Nel suo essere ?scandalo?. Forza tranquilla che scuote e destabilizza le coscienze.

Una parola ?scandalosa?
Da sempre è stato così: il termine pace ha assunto persino un significato trascendente. Ha sollevato emozioni che vanno al di là della contingenza pratica, delle logiche ?realistiche? di questa o quella posizione, del conto avaro del possibile e dell?impossibile, dell?utile e del vano, per aprire orizzonti. Evocare speranze. Lasciare intravvedere un qualche oltrepassamento dell?esistente.

Sospenderlo ora, privarcene (anche quando fosse con le migliori intenzioni) proprio nel momento in cui più ?scandalosa? diventa la sua affermazione, significherebbe arrendersi alla logica, purtroppo così pervasiva, della guerra.


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