Impatto sociale

Se la filantropia vuole contare davvero abbandoni la gabbia del bando a tutti i costi

Il bando è uno strumento che va usato in casi specifici, mentre continua a essere il principale canale di accesso del Terzo settore per collaborare con le istituzioni filantropiche e l’amministrazione pubblica. A scapito dell'efficacia e dell'efficienza degli investimenti sociali

di Tiziano Blasi

In molti settori, ma in particolare nel non profit, la fine dell’anno si percepisce come “la fine del mondo”. Nel Terzo settore le organizzazioni operano con personale ridotto, con figure che coprono due o tre ruoli su diversi progetti, e devono affrontare i rendiconti da chiudere, i bandi in scadenza o gli ultimi finanziamenti da allocare, in tutta fretta, entro la fine dell’anno.  

Non abbiamo il tempo di alzare lo sguardo, ma proprio questo eccessivo carico di lavoro dovrebbe essere un’opportunità per riflettere sulle deformazioni del sistema che lo ha generato. È stata quindi tempestiva la discussione nata da un post di Stefano Oltolini (40 commenti da esperti del settore) poi seguito da un contributo di Federico Mento.  

La questione prende spunto dagli esiti di un bando che vedeva 447 proposte a fronte di solo 9 progetti finanziati. Questo ha sollevato interrogativi su quanto lavoro ed energia siano stati dispersi e su quali alternative avrebbero potuto essere considerate. È emerso che, sebbene alcuni donatori si stiano orientando verso modelli alternativi in linea con il manifesto della filantropia europea di Philea o come avevamo riportato nell’articolo Il ruolo della filantropia di fronte alla crisi del Terzo settore, la grande maggioranza della filantropia italiana rimane ancorata al modello bando-progetto-rendiconto. 


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Il bando costituisce uno strumento fondamentale per la costruzione di percorsi di finanziamento e partnership e può stimolare nuove idee e facilitare una valutazione oggettiva e orientata al risultato di diverse proposte. Tuttavia, è uno strumento che va usato in casi specifici, mentre oggi è divenuto il principale canale di accesso per collaborare con la filantropia e l’amministrazione pubblica.  

Si tratta di un dibattito che va avanti da anni e, sebbene talvolta raccolga un’ampia adesione, fatica a trasformare le pratiche. Per superare questa situazione di stallo, ritengo fondamentale esaminare le diverse e valide ragioni che spingono molti donatori a preferire il modello bando-progetto-rendiconto rispetto ad altre modalità di individuazione e implementazione della partnership, come lo scouting o la co-progettazione: 

  • In primis, l’accountability verso i propri consigli direttivi e finanziatori spinge la filantropia a sviluppare un sistema strutturato basato sui dati. Questi possono essere interpretati come documenti di progetto o giustificativi di spesa, ma anche come piattaforme digitali per la raccolta e la gestione dei progetti finanziati. 
  • La ricerca di imparzialità è garantita dal bando e da un sistema di reporting strutturato, che mirano a evitare l’arbitrarietà nella selezione dei soggetti da finanziare. 
  • L’efficienza nell’uso delle risorse è un mantra per il settore. Poiché i finanziamenti sono limitati e passano attraverso diverse intermediazioni, è vitale per l’ente filantropico assicurare che i costi di struttura non assorbano le risorse destinate alle comunità. 
  • Aumentare la qualità e ridurre il numero delle richieste di finanziamento è essenziale per non essere sopraffatti dalla mole di richieste. Alcuni donatori ricevono centinaia di proposte. Il bando stabilisce una soglia minima di ammissione, riducendo così l’investimento nella fase di identificazione dei progetti e i rischi connessi ai finanziamenti. 

Queste sono valide argomentazioni, tuttavia, è importante metterle in discussione e valutarne criticamente l’effettivo impatto e le possibili alternative: 

  • Riguardo all’accountability, è cruciale definire chi siano gli attori principali a cui rendere conto. Dovremmo indirizzare le nostre attenzioni ai nostri consigli direttivi o alle comunità afflitte dalla guerra o dalla povertà? Ai dipartimenti di amministrazione e finanza o all’educatore che passa la notte in casa-famiglia e fatica ad arrivare a fine mese? Queste dicotomie sono al centro del dibattito nel mondo anglosassone dove si chiede di aprire i consigli direttivi alle comunità e agli operatori, esaltandone la diversità e inclusività.   
  • L’imparzialità è un pilastro fondamentale, ma è davvero garantita dai bandi? Se ricevessi 300 proposte da tutta Italia sui diritti dei bambini e delle donne, come potrei compararle e valutarle? E la scrittura di un buon progetto coincide veramente con un buon progetto? In molti casi, azioni di co-progettazione e due dilligence potrebbe rivelarsi ben più efficaci. 
  • L’efficienza è un tema caro a tutti i fundraiser. Spendere meno però non vuol dire spendere meglio. Se destinare il 10% in più ai costi di gestione della mia organizzazione mi permette di raggiungere il 30% dei miei obiettivi, allora quelle risorse sono state spese bene. L’efficienza deve essere associata ai risultati e questi non si misurano come rapporto fra budget di progetto e numero dei destinatari; il mondo è più complesso di così. 
  • Il sistema bando era anche un filtro per diminuire e incanalare il numero di proposte. Oggi la digitalizzazione consente la produzione rapida di documenti e nel non profit abbiamo formato una classe di progettisti/e senza eguali in altri settori. Certamente il bando, come le complesse rendicontazioni, continuano a operare come filtro, ma è il filtro appropriato? Dovremmo premiare colore che sono capaci di scrivere e rendicontare o coloro che conoscono il territorio e portano risultati tangibili?  

Queste criticità diventano ancora più evidenti di fronte ai grandi cambiamenti della contemporaneità. La policrisi rende il sistema bando-progetto-rendiconto troppo rigido e quindi sempre meno praticabile ed efficace, lo starvation cycle e il continuo sottofinanziamento del Terzo settore nell’era del quiet quitting spingono i talenti e le nuove generazioni fuori dal non profit e, infine, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sta rendendo anacronistica l’affidabilità e la competitività di parte dei processi di progettazione e valutazione.   

La newsletter settimanale su Csr, filantropia e sostenibilità curata da Gimpaolo Cerri e riservata agli abbonati di VITA

Certamente, l’ampia partecipazione ai bandi non mancherà in futuro, poiché i bisogni superano di gran lunga i fondi disponibili. Tuttavia, le organizzazioni, per sostenere i costi di progettazioni infruttuose, ricicleranno proposte, scriveranno buona parte dei progetti tramite l’AI o si appoggeranno alle organizzazioni più strutturate. Questa tendenza è già evidente nella progettazione europea, dove le grandi organizzazioni partecipano come capofila con una rete di partner territoriali implementatori o costruiscono sistemi di regranting per raggiungere le realtà territoriali, anche attraverso sotto-bandi e spesso aumentando i costi di intermediazione.  

Questo scenario impoverisce profondamente sia gli enti filantropici e che le organizzazioni partner e, soprattutto, riduce gli spazi per azioni trasformative e sistemiche per ridurre le disuguaglianze e rispondere ai bisogni delle comunità.  

È ora di passare dalle parole ai fatti e avviare sperimentazioni concrete per creare partnership strategiche di lungo periodo che puntino a realizzare un cambiamento sistemico. Dobbiamo lavorare perché i prossimi anni si chiudano senza l’estenuante corsa per presentare l’ultimo progetto il 23 dicembre o per recuperare due giustificativi di spesa il 31 mattina.  

Abbiamo obiettivi più importanti e ambiziosi da realizzare. 

Foto di Andrew Martin da Pixabay

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