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Se la Fiat scopre che donare è bello

Milano, Convegno Bocconi: big del capitalismo tra cui Tronchetti Provera e Paolo Fresco discutono di non profit

di Francesco Maggio

Oggi il non profit dà un grande contributo alla crescita economica, sociale e civile del Paese. Accresce la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Determina la produzione di beni relazionali, sempre più indispensabili per uno sviluppo armonico del territorio. Amplia l?offerta di servizi sociali, riducendone i costi e migliorandone la qualità. Ha enormi potenzialità occupazionali. Svolge un insostituibile ruolo di advocacy, ossia di tutela dei diritti fondamentali dell?uomo e dell?ambiente. Partecipa attivamente alla costruzione di un?Europa della solidarietà e dei cittadini. Oggi il Terzo settore, come gli viene riconosciuto all?unanimità, fa queste e molte altre cose ancora. Ma non c?è dubbio che potrebbe farle ancora meglio, senza essere costretto a superare ostacoli insormontabili, e avendo maggiori opportunità di pianificare strategicamente la propria attività, i propri investimenti, il proprio futuro. Potrebbe, se solo potesse disporre di più risorse. Di flussi di entrata più costanti di quelli che attualmente riesce nel complesso a garantirsi tra mercato, banche e liberalità. Insomma, di più soldi. Soldi che in realtà non mancano, e che gli italiani sarebbero ben disposti a donare, come documentammo qualche mese fa (Vita n. 5/2001). Ma che a causa di un fisco intriso di cultura del sospetto e, non di rado, di una vera e propria avversione verso tutto quanto è senza fine di lucro, finiscono col prendere ben altra via. Che fare allora? Semplicemente, voltare pagina. Razionalizzare il regime tributario del Terzo settore, tanto dalla prospettiva dei benefattori che da quella degli enti non profit. Incentivare gli strumenti della deducibilità e della detraibilità e adottare strumenti idonei a controllare l?utilizzo di mezzi finanziari per i fini tipici degli enti beneficiari delle erogazioni. È la proposta che emerge dallo studio ?Liberalità a enti non profit tra fisco e sviluppo? realizzato dal Certi, il Centro di ricerche tributarie dell?impresa dell?Università Bocconi diretto da Victor Uckmar e presentato il 6 luglio presso l?ateneo milanese alla presenza di un parterre d?eccezione: Paolo Fresco, presidente della Fiat, Marco Tronchetti Provera, presidente della Pirelli, Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, tanto per citare qualche nome. Insomma, davanti al gotha dell?imprenditoria italiana, a conferma del fatto, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che il non profit è diventato a tutti gli effetti un comparto dell?economia italiana. «Negli ultimi tempi stiamo assistendo a un paradosso», sottolinea Giuseppe Marino, coordinatore insieme ad Uckmar dello studio del Certi. «Da un lato, il Terzo settore conquista spazi più ampi nella vita socio economica del Paese e si pone come uno degli attori protagonisti della riforma del Welfare, della costruzione di un?Europa solidale, dell?attuazione del principio della sussidiarietà. Dall?altro, a fronte di traguardi così significativi raggiunti in tempi più brevi rispetto agli altri Paesi, che significano anche enormi costi risparmiati dallo Stato, l?unico che sembra non accorgersene è il legislatore fiscale il quale continua a seguire un approccio ?lobbistico? al non profit, a ignorare un dato elementare, e cioè che per incrementare le liberalità delle persone, fisiche e giuridiche, agli enti senza fine di lucro, bisogna renderle convenienti. Da qui», aggiunge Marino, «la nostra proposta di un disegno di legge delega che conferisca al Governo i poteri necessari per una radicale riorganizzazione del regime tributario del Terzo settore».


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