Le algide cifre dei morti per inedia e pandemia in Somalia costituiscono la cartina al tornasole di un Paese ridotto allo stremo. In soli due anni oltre 260mila persone sono morte per la crisi alimentare. La metà erano bambini sotto i cinque anni. Una tragedia che secondo uno studio delle Nazioni Unite si è consumata a partire dal 2010. Ma dopo questa ennesima strage degli innocenti, il dato preoccupante è che l’emergenza non è rientrata. Da rilevare che, nel 2011, il Corno d’Africa era stato colpito dalla più grave siccità degli ultimi 60 anni. Una delle ragioni, questa, della catastrofe umanitaria che ha seminato morte e distruzione, ma non la sola. Alla radice di tutti i mali c‘è, infatti, la sanguinosa guerra in corso in Somalia che si procrastina nel tempo dalla caduta del regime di Siad Barre, nel 1991. Il conflitto alimenta, per così dire, la crisi alimentare e ostacola l’intervento delle agenzie umanitarie internazionali che non riescono a fornire l’assistenza in modo tempestivo e significativo per soccorrere la stremata popolazione civile. Ad aggravare la situazione di questo Paese confinato nei bassifondi della Storia è la progressiva parcellizzazione del territorio sotto il controllo dei “signori della guerra” e delle famigerate formazioni jihadiste, finanziate dal salafismo di matrice saudita.
Ciò che comunque è davvero sconcertante è l’omertà della comunità internazionale rispetto alle vicende somale. E sì, perché se da una parte è evidente che questo Paese rappresenta la linea di faglia tra opposti interessi geostrategici, legati – almeno in parte – al controllo delle immense fonti energetiche presenti nel sottosuolo (che vanno dal petrolio al gas naturale fino all’uranio), vi sono anche altre negligenze che coinvolgono le classi dirigenti locali (troppo spesso assetate di denaro) e di certi grandi benefattori o presunti tali. Da troppi anni a Mogadiscio e dintorni, come anche nel resto del Corno d’Africa, il consesso delle nazioni anziché promuovere una cooperazione allo sviluppo che tenesse conto degli effettivi bisogni del territorio, ha risposto spesso e volentieri alle cicliche calamità climatiche, poco importa che si trattasse di siccità o inondazioni, e alle crisi armate promuovendo interventi d’emergenza con modalità che hanno finito per acuire a dismisura la dipendenza delle popolazioni africane dagli aiuti stranieri. L’ho scritto tante volte e non mi stancherò mai di ripeterlo: “se la fame si nutrisse di parole la Somalia sarebbe già sazia”.
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