La crisi alimentare globale sta colpendo duramente, in questi mesi, la fascia saheliana. Si tratta di un fenomeno che interessa in maniera gravissima circa 18 milioni di persone, soprattutto donne, vecchi e bambini molti dei quali rischiano di morire per inedia e pandemie. Basti pensare al Niger e al Mali dove le autorità locali hanno ridotto o addirittura eliminato le tasse doganali di molti generi alimentari, nel tentativo di contenere i prezzi. Basti pensare che, mediamente, il costo dei cereali importati da quelle parti è aumentato a luglio di circa il 45 per cento, rispetto allo stesso mese del 2011. Ma a destare apprensione sono soprattutto le speculazioni finanziarie legate alla compravendita di fondi di investimento. Si tratta di “futures” sui prodotti agricoli che non vengono più solo acquistati da chi ha un interesse diretto in quel determinato mercato seguendo le tradizionali leggi della domanda e dell’offerta, ma anche di soggetti finanziari come i fondi pensione, che investono grandi somme di denaro con l’obiettivo esclusivo di ottenere il miglior rendimento. Ecco che allora alla cosiddetta batosta climatica, che com’è noto ha interessato quest’anno sia gli Stati Uniti che la Russia, si aggiungono i meccanismi perversi di un sistema finanziario che sta avendo ricadute drammatiche sulle popolazioni africane. Parliamo di Paesi in cui la gente destina solitamente più dell’80% del proprio reddito al fabbisogno alimentare e che nell’attuale congiuntura non è assolutamente in grado di far fronte all’aumento dei prezzi del cibo. Come se non bastasse, la celebrazione del Ramadan, il mese sacro delle popolazioni di fede islamica, che tradizionalmente fa aumentare i prezzi, ha acuito a dismisura l’emergenza alimentare anche sulla fascia nordafricana, interessando persino alcuni settori del Medio Oriente. Non v’è dubbio, comunque, che siano proprio i Paesi africani a forte densità islamica quelli maggiormente penalizzati. Sarebbe pertanto auspicabile che, a livello planetario, fossero intraprese serie e decisive misure di regolamentazione delle attività finanziarie, evitando speculazioni sulle materie prime alimentari. Come recita un vecchio proverbio noto da decenni nei circoli delle organizzazioni umanitarie che operano in Africa: “se la fame si nutrisse di parole, il mondo sarebbe già sazio”.
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