Non profit

Se l’aiuto materiale non basta: ecco gli educatori senza frontiere

«Il primo suggerimento è quello di prendere contatto con l’associazione», spiega Cristina Mazza, referente di Educatori senza frontiere alla Fondazione Exodus.

di Antonietta Nembri

Sono una ragazza che è venuta a conoscenza di Educatori senza frontiere attraverso un amico che lavora per una comunità di recupero per tossicodipendenti di don Mazzi. Vorrei chiedervi, se possibile, qualche informazione su come si può diventare un educatore senza frontiere, se ci sono da seguire corsi, incontri ecc… Elena, email La domanda di Elena ci dà l?opportunità di parlare degli Educatori senza frontiere, realtà che nasce dall?idea secondo la quale «l?educazione nella sua accezione più semplice e profonda, è il potenziale irrinunciabile di ogni uomo e di ogni comunità e il tessuto base connettivo delle relazioni e delle realizzazioni di tutti gli uomini e di ciascun uomo. È il patrimonio spirituale e culturale di ogni uomo». Questo si legge nel sito della Fondazione Exodus che descrive il progetto alla base della formazione di educatori disponibili e competenti per condividere situazioni difficili nei più diversi paesi, per usare l?educazione come strumento di emancipazione e riscatto. L?associazione Educatori senza frontiere, ideata da don Mazzi che ne è il vicepresidente, è presieduta da Giuseppe Vico, docente di Pedagogia all?università Cattolica di Milano. «Il primo suggerimento è quello di prendere contatto con l?associazione», spiega Cristina Mazza, referente di Educatori senza frontiere alla Fondazione Exodus. Anche in questo periodo è in atto un corso di formazione. «I nostri sono corsi aperti realizzati secondo dei moduli, l?ultimo è partito a ottobre, ma sono in programma seminari e incontri fino a maggio». Tra le esperienze in atto si possono citare quelle in Kenya e in Madagascar, ma non mancano contesti operativi in Italia, soprattutto nelle periferie. Per entrare a far parte dell?associazione Educatori senza frontiere non viene chiesta una formazione base specifica, in pratica non si chiede di avere alle spalle studi di stampo prettamente pedagogico o educativo, ma «viene chiesto di mettersi al fianco di chi è in difficoltà», precisa Cristina Mazza. «Anche per quanto riguarda la conoscenza di una lingua straniera, non è fondamentale o indispensabile, certo se una persona va in Kenya è meglio se conosce l?inglese, ma posso testimoniare dei veri e propri ?miracoli? avvenuti grazie alla comunicazione non verbale. L?importante è mettersi in sintonia con l?altro», conclude. Info: www.exodus.it/educatorisenzafrontiere.htm, esf@exodus.it


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