Famiglia
Se il welfare per fare figli fa figliastri
Il Governo Meloni ha sostituito il Reddito di cittadinanza con due prestazioni: l’Assegno per l’Inclusione (Adi) e il Supporto (temporaneo) per la formazione e il lavoro (Sfl). Nel 2024 con l'Adi torneremo a essere l’unico Paese europeo senza una misura di reddito minimo rivolta a tutti i poveri in quanto tali e non solo ad alcune categorie, come le famiglie con figli. L'esperto di politiche sociali Cristiano Gori: «La riforma contrappone le famiglie con figli e il resto della società. Non ne avevamo bisogno»
Se siete poveri, lo Stato è disposto ad assicurarvi un sostegno per vivere decentemente solo a condizione che abbiate figli minori. È questo il messaggio fondamentale della riforma delle politiche contro la povertà voluta dal Governo Meloni. Seppure il Decreto preveda specifiche tutele anche per i nuclei con over60 e con persone con disabilità, infatti, è al ruolo dei minori che bisogna guardare per capire la riforma.
Essa prevede il passaggio dal Reddito di cittadinanza (Rdc) a due prestazioni: l’Assegno per l’Inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl). L’Adi è una vera e propria misura contro la povertà: un sostegno continuativo – sino a che ne permane la necessità – i cui importi garantiscono agli interessati un livello minimo di sussistenza. Il punto, però, è che lo ricevono solo i poveri che vivono in famiglie con minori, persone over60 e persone con disabilità. Per tutti gli altri poveri, invece, c’è il Sfl, che non è una misura contro la povertà – come specifica anche il testo del Decreto – bensì un esile aiuto temporaneo: dura solo 12 mesi, il suo ammontare, perlopiù, non permette un’esistenza accettabile e viene erogato solo se l’utente partecipa a corsi di formazione o progetti utili alla collettività. In concreto, i lavoratori ultracinquantenni che perderanno l’occupazione non saranno protetti dall’Adi, a meno che non abbiano un figlio minore; le giovani coppie che non fanno figli proprio perché in difficoltà economica non verranno tutelate, e così via.
Il tentativo di dotare l’Italia di un welfare per i poveri “normale” si esaurisce così nel giro di pochi anni. Nel 2017 siamo stati l’ultimo Paese europeo insieme alla Grecia a introdurre una misura nazionale contro la povertà, con il Reddito d’inclusione-Rei, sostituito nel 2019 dal Rdc. Entrambe le misure si basano sul diritto a ricevere un sostegno per chiunque si trovi al di sotto di una determinata soglia economica di povertà indipendentemente da età, composizione del nucleo familiare, condizione occupazionale o altre specificità. Nel 2024, con l’attivazione dell’Adi, faremo marcia indietro e torneremo a essere l’unico Paese europeo senza una misura di reddito minimo rivolta a tutti i poveri in quanto tali e non solo ad alcune categorie, come le famiglie con figli o senza componenti occupabili. Siamo passati, in sintesi, dal principio dell’universalismo (aiutare tutti i poveri) a quello della categorialità familiare (aiutare solo alcuni poveri, individuati in base alle caratteristiche della loro famiglia).
Il Rdc segue il principio dell’universalismo ma, nell’applicarlo, sconta alcune limitazioni dovute ad errori in fase di progettazione. Mostra, infatti, un’insufficiente capacità di raggiungere chi sta peggio: sono elevate le percentuali sia di utenti non in povertà assoluta (almeno il 40%) sia di famiglie in povertà assoluta che non lo ricevono (almeno il 50%). Di conseguenza, era lecito attendersi un intervento che indirizzasse maggiormente il sostegno pubblico verso i più deboli. Tuttavia, questo obiettivo non viene perseguito mentre s’introduce la differenza tra i poveri meritevoli (perché con figli) e gli altri.
La logica della riforma sembra derivare dalla congiunzione tra un giudizio negativo sulle politiche contro la povertà e una decisa priorità attribuita alla natalità. Da una parte, assicurare il diritto a una vita decente a tutti i poveri non è ritenuto compito dello Stato. Dall’altra, la tutela di chi ha figli e la promozione della natalità sono considerate il principio fondante dell’intero sistema di welfare (come anticipato, il criterio chiave è quello dei figli minori).
In una simile impostazione, le politiche contro la povertà scompaiono e diventano un sottoinsieme di quelle per la famiglia. L’obiettivo non è più assicurare a chiunque cada in povertà il diritto a una vita decente, bensì proteggere le famiglie con figli dalla povertà. Le politiche a favore di queste ultime completano così una peculiare traiettoria: da marginali (fino a qualche anno fa erano sostanzialmente ignorate) sono diventate importanti (nella fase recente, con introduzione dell’assegno unico e gli investimenti del Pnrr sui nidi), per arrivare oggi a guadagnare lo status di uniche politiche di welfare (ovvero di criterio ordinatore che guida tutti gli altri interventi).
L’intenzione di riservare alle famiglie con figli una protezione particolare, in ragione delle loro specificità, è condivisibile ma non può ledere il diritto di ognuno a ricevere un aiuto da parte dello Stato, indipendentemente da caratteristiche anagrafiche, familiari o di altro tipo. Non a caso, un numero crescente di giuristi si chiede se la discriminazione introdotta nei confronti delle famiglie senza figli minori sia compatibile con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge… senza distinzioni di condizioni personali e sociali»).
L’impressione è che la portata della riforma sia stata ancora poco percepita e che così sarà sino alla sua attuazione nel 2024. La riforma contrappone le famiglie con figli e il resto della società. Le già problematiche politiche contro la povertà, con tutte le ben note difficoltà attuative e che già scontavano il dualismo tra occupabili e non occupabili, furbetti e meritevoli non avevano certo bisogno di questa ulteriore polarizzazione. D’altra parte, sarà da verificare nel tempo se un approccio così duro politicamente e ideologicamente orientato si rivelerà davvero la strada più efficace verso l’auspicabile ulteriore sviluppo delle politiche per le famiglie con figli.
Foto: Agenzia Sintesi
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