Famiglia

Se il tuo diario risponde

La nostra inviata in Rete dialoga con l'autrice di uno dei fenomeni editoriali del 1999.Ovviamente per e-mail

di Susanna Battistini

Ci sono, a volte, piccoli libri che si rivelano preziosi gioielli per i segnali sottili o macroscopici che possono mandare. Chi ha letto ?Il piccolo principe? saprà bene cosa vuol dire che l?essenziale è invisibile agli occhi. Per chi crede all?anima o chi, nel dubbio, ne è alla ricerca, o chi fedele alla ragione, cerca nel ragionamento un senso alla vita e ai suoi accadimenti, il libro di Milena Portolani e Luigi Vittorio Berliri, ?È Francesca e basta?, può rivelarsi un confortante approdo. Citavamo il classico di Antoine de Saint-Exupery perché la storia di Milena e Luigi Vittorio è un incontro all?insegna del non visto, nel senso fisico del termine. Un incontro di solidarietà virtuale, dove gli occhi non si guardano, le mani non si toccano, ma i pensieri e i sentimenti sì. Perché è capitato proprio a me? Luigi Vittorio, volontario in una casa-famiglia romana, lanciò un appello in Rete sui problemi dell?handicap contestando una campagna dell?Anffas del Lazio che, per invitare alla solidarietà, sul manifesto riportava la frase ?Mio figlio è venuto male? con la foto di un ragazzo disabile. Tra le persone che rispondono c?è Milena, di Forlì: «Ho 33 anni e sono la mamma di due bambine, Giorgia e Francesca. Giorgia (9 anni) mi è venuta bene e Francesca (15 mesi) mi è venuta ?male?. È nata con una malformazione al volto chiamata labiopalatoschisi (in parole povere, labbro leporino e completa assenza di palato, sia molle che duro) e come se non bastasse è affetta da sindrome di Down. Il primo pensiero che ho avuto quando l?ho vista è stato ?Ma che razza di donna sono, non sono neppure capace di fare un figlio! Perché mi è venuta così male??. Scrivendo queste parole, oggi, rabbrividisco e me ne vergogno». In queste ultime righe c?è buona parte del senso del libro. Milena Portolani non vive né la retorica né i luoghi comuni che circondano il mondo dell?handicap. Dice Milena: «Il percorso dell?accettazione di un evento traumatico è lento. Io, all?inizio, ero molto arrabbiata perché non capivo il senso di un tale dolore. Anche oggi, mi domando perché sia successo proprio a Francesca, ma credo che aver cercato di vivere fino in fondo questo stato d?animo mi abbia consentito di far pace con me stessa e con Dio». Il messaggio forte che arriva da queste corrispondenze di gente comune piuttosto che, come dice Milena, «di studiosi o medici che danno suggerimenti teorici o scientifici» è la messa in atto del percorso che porta all?accettazione: dopo i perché di Giobbe, la comprensione del mistero dell?esistenza, al di là del bene e del male. Scrive Milena in una delle lettere a Luigi Vittorio: «Ci si chiede il perché delle cose, vorresti un perché, io volevo un perché. Quando cerchi a tutti i costi un perché la tua mente è annebbiata, è popolata di fantasmi che appaiono, scompaiono e riappaiono, non ti danno il tempo di riflettere e di vedere l?essenzialità delle cose. Non c?è lo spazio per addomesticare il tuo cuore a convivere con una ferita lacerante, a sopportare i bruchi per poter conoscere le farfalle. Siamo così strani noi ?umani?!». E continua: «Sì, ho pensato che Dio avesse punito Francesca per qualcosa che avevo fatto io. Poi pensi che queste cose accadono anche ai più timorati di Dio. A volte succede che la loro fede vacilla, altre no. Comunque io ho avuto questi pensieri perché volevo una risposta. Una risposta alle mie domande, ai miei perché». Ma quella bambina non esisteva… «È da quando ho smesso di cercare un perché», continua, «che quella ferita ha smesso di sanguinare. C?è ancora però, in un angolino ci sarà sempre, è come la cicatrice di una qualsiasi ferita che non sanguina più e che però ha lasciato un segno indelebile sulla pelle». Come la ferita dell?osteosarcoma che le è stato diagnosticato subito dopo la pubblicazione del libro. Dice Milena: «Prima della nascita di Francesca non avevo conosciuto il dolore. Avevo una bella famiglia, una casa, un lavoro, dei genitori in salute che si erano sempre voluti bene, niente m?aveva mai sfiorata: la morte di persone care, una malattia, la violenza. Poi è nata Francesca e adesso il cancro. Eppure, e non è retorica dirlo, Francesca mi ha aiutato a centrarmi, ad affrontare con un altro spirito anche questa malattia». È combattiva, Milena, e comprensiva del fatto che non tutti possono farcela, non tutti hanno la forza o la voglia di elaborare la sofferenza, o di chiamare le cose con il loro nome: «Quando è nata Francesca ho avuto paura della sua diversità, anche perché non avevo mai visto bambini con quella malformazione al volto. Ma quando l?ho presa in braccio, io l?ho amata subito anche se non accettavo quello che aveva. Ho dovuto elaborare il lutto della bambina che io avevo idealizzato in nove mesi di attesa. Quella bambina non c?era, anzi non c?era mai stata. C?era Francesca ed era lei che io dovevo amare, crescere e accettare. Accettare la diversità di Francesca non è stato facile non perché la sua diversità fosse scritta nei suo occhi a mandorla, ma perché lei non era la bambina che io avevo sognato». C?è soprattutto in Milena, e nel suo amico Luigi Vittorio, una gran voglia di comunicare i sentimenti, le tracce possibili, i percorsi praticabili della condivisione per chi vive i problemi dell?handicap in prima persona, per chi vuole capire senza pietismi, per chi, piuttosto che normalizzare una situazione che normale non è, lavora affinché si arrivi alla sponda di una comprensione di ciò che ci atterrisce e ci spaventa. Accettare sì, rassegnarsi mai Come dice Milena: «Anche se è doloroso e difficile, dobbiamo accettare che i nostri figli sono ?diversi?. Non basta esserne consapevoli e ammetterlo, perché siamo ancora lontani dall?averlo accettato. Accettare non significa abbattersi, smettere di combattere o rassegnarsi, ma significa ?amare per come è e non nonostante ciò che è?». È questo bisogno di comunicare che ha spinto Milena e Luigi Vittorio a conoscersi. Scrive Milena a Luigi Vittorio: «Tu mi sei diventato amico in un momento molto ?grigio? della mia vita, proprio quando stavo per toccare il fondo. E non importa il fatto che non ci conosciamo, che non ci vediamo… È come se, scrivendoti, io avessi un diario nel quale scrivo i miei pensieri, la differenza è che tu sei un diario che risponde». Adesso Milena e Luigi Vittorio si conoscono, ma continuano a comunicare via e-mail. Questo libro, come dice Milena, ha partorito i suoi frutti. Per Milena, che voleva un perché e non l?ha trovato: «L?unica certezza è che amo Francesca, che ho accettato e amo la sua diversità e che oggi mi sento migliore di ieri». Per Luigi Vittorio, che ha preso in affidamento un bimbo disabile, e per la mamma di Faenza che ha partorito un bimbo down e, oggi stesso, mentre scriviamo questo articolo, ha mandato un?e-mail a Milena perché vuole conoscerla e leggere il suo libro. E la storia continua…


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