Politica
Se il Pnrr si scorda il superamento delle diseguaglianze
La Commissione europea si è presa un mese di tempo in più per valutare lo stato di avanzamento del Pnrr italiano inviato dal Governo Meloni a dicembre. Siamo davvero così in ritardo? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Smaldore, responsabile editoriale di Openpolis. «Già Draghi stimava che l'Italia avrebbe speso 15 miliardi invece dei 30 previsti». Il problema principale? «La riduzione dei divari, per come sono scritti i bandi e gli incentivi, è un problema che non ci si pone nemmeno»
I titoli dei siti di informazione in questi giorni sono tutti un allarme: errori sul Pnrr, l’Italia rischia di perdere i soldi europei, il governo vuole rinunciare anzi no, vuole rivedere il Piano. A fine marzo effettivamente la Commissione europea si è presa un mese in più di tempo per valutare lo stato di avanzamento del Pnrr italiano consegnato a dicembre 2022, cui è connessa l’erogazione della terza tranche di finanziamenti da 19 miliardi di euro. Non era mai successo prima. Facciamo il punto con Vincenzo Smaldore, responsabile editoriale di Openpolis, che a maggio 2022 ha lanciato OpenPnrr e da qualche settimana, in questo ambito, ha avviato un’analisi specifica sui temi che riguardano il sociale, in collaborazione con il Forum del Terzo settore.
Facciamo il punto, per i non addetti ai lavori?
Come tutti sappiamo, il Pnrr è un piano ambizioso, concordato tra Italia e Unione Europea, con scadenze precise che definiscono quando le diverse attività devono essere completate. Ci sono scadenze ad ogni trimestre, ma due appuntamenti sono più importanti degli altri: quelli di giugno e dicembre, perché in queste occasioni la verifica fa scattare una nuova rata di finanziamento. Già a dicembre scorso eravamo tutti in ansia per l’appuntamento, ma il governo Meloni ha rivendicato più volte e pubblicamente di aver fatto tutto nel modo corretto e nei tempi giusti, basta riguardare la diretta Facebook in occasione dei primi 100 giorni di governo. Il Pnrr, come dicevamo, prevede dei meccanismi di verifica, che dettagliano le condizioni per cui una scadenza può essere considerata raggiunta o meno. Noi di Openpolis facciamo ogni giorno questo lavoro di monitoraggio sulle scadenze e devo dire che sul finire dell’anno 2022 alcuni di questi meccanismi non sembravano soddisfatti: da lì abbiamo messo subito in evidenza le criticità. Anche oggi alcuni continuano in parte a non essere soddisfatti. La Commissione ha fatto le sue osservazioni e ha deciso di mantenere riservata la sua comunicazione con il governo italiano: l’unica informazione è quella data dal governo, che ha detto che ci è stato concesso un mese in più. Intanto il messaggio chiaro è che questo "mese in più" è come quando a scuola ti rimandavano a settembre: non è vero che abbiamo fatto tutto per bene come dice il governo, a dicembre non eravamo pronti e la Commissione ci ha “rimandati a settembre”.
Quali ritardi abbiamo e dove siamo stati maggiormente inadempienti?
Il Pnrr è fatto di due parti: le riforme e gli investimenti pubblici. Queste due parti non vanno di pari passo, perché tutte le riforme sono concentrate nei primi anni: finora quindi i governi hanno potuto contare su un certo margine discrezionale, dicendo per esempio che la tal legge era stata approvata e che i decreti attuativi sarebbero arrivati. La Commissione su queste dinamiche ha lasciato passare. Ora però il Pnrr sta arrivando alla parte degli investimenti economici, che hanno maggior concretizza nella verifica dell'attuazione. Sono state aperte nuove farmacie nelle aree interne? Quante? Non si scappa. Abbiamo aumentato le borse di studio? Piantato alberi? Realizzato la tal infrastruttura? La verifica è molto più concreta, sia al termine del processo sia nella sua implementazione. Sono stati fatti i bandi? Gli esiti sono usciti? Sono state allocate le risorse? È in questa fase più stringente che sono emerse nuove criticità. Questo però non è un fulmine a ciel sereno. Già il governo Draghi, che come ultimo atto ha presentato la nota di aggiornamento al Def, ha fatto una previsione della capacità di spesa dell’italia: a novembre 2022 la stima era che l'Italia avrebbe speso 15 miliardi invece dei 30 previsti. Già lì quindi c’era una indicazione del grave ritardo che abbiamo. Significa che per la parte di implementazione delle riforme, l’Italia viaggia a un ritmo che è la metà di quel che dovrebbe avere. L’analisi della Corte dei Conti del 27 marzo 2023 ci dà indicazioni ancor più di dettaglio e solleva maggiori criticità su tutta la gestione del Pnrr.
Già il governo Draghi, che come ultimo atto ha presentato la nota di aggiornamento al Def, aveva stimato che l'Italia avrebbe speso 15 miliardi invece dei 30 previsti. Già quella era una indicazione del grave ritardo che abbiamo. Significa che per la parte di implementazione delle riforme, l’Italia viaggia a un ritmo che è la metà di quel che dovrebbe avere.
Vincenzo Smaldore
Uno dei nodi che la società civile ha messo in evidenza da subito come maggiormente problematico riguarda proprio la governance.
Il governo ha presentato da poco al Parlamento il decreto legge sulla governance del Pnrr, l’ha chiamato "Pnrr 3" e non è un caso che ora ci siano migliaia di emendamenti, per la grande parte presentati dalla stessa maggioranza… c’è un rischio di cortocircuito perché il governo non ha ancora fatto conoscere la sua visione politica sul Pnrr. Il governo deve presentare due volte l’anno una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr, insieme alla legge di bilancio e insieme alla presentazione del Def: il governo Meloni però con la legge di bilancio questa relazione non l’ha presentata, né lo ha fatto nei mesi seguenti. Si tratta di un grande punto critico, perché quella relazione contiene la visione politica del governo sul Pnrr. La maggioranza attuale rivendica – legittimamente – di essere un governo politico dopo tanti governi tecnici, ma ecco che il documento politico di visione sul Pnrr non lo fa. Entro aprile deve essere presentato il Def e qui c’è l’altra scadenza per la relazione: speriamo che questa volta ci sia. Nella congiuntura economica attuale il Pnrr con le sue risorse contiene la stragrande maggioranza degli investimenti pubblici del Paese: quindi utilizzare al meglio quelle risorse e gestirle con capacità è indispensabile per la sostenibilità e per lo sviluppo dell'Italia.
Da maggio 2021, la campagna #DatiBeneComune, in collaborazione con l’Osservatorio Civico Pnrr, chiede l’apertura di tutti i dati relativi al Pnrr e, più in generale, l’apertura di tutti i dati di pubblico interesse. Anche questo è un punto critico.
È la seconda mancanza. Anche qui c’è un obbligo di legge inevaso, perché il Pnrr prevede che entro 31 dicembre 2021 sarebbe dovuto entrare in funzione Regis, la banca dati per monitorare l’avanzamento di tutti i progetti finanziati. Ma Regis almeno per tutto il 2022 non esisteva. Questa è una grave carenza, perché in mancanza di dati strutturati nessuno sa come sta andando il Pnrr. Noi abbiamo già presentato due richieste di accesso generalizzato (Foia) affinché il governo adempisse agli obblighi di legge previsti in materia di trasparenza. Ci hanno risposto dicendo che tutti i dati disponibili erano già stati resi pubblici e questo ha aumentato la preoccupazione. La Corte dei Conti ha interpellato nel dettaglio alcuni ministeri, che hanno dovuto ammettere che non hanno mai utilizzato Regis, per esempio il Ministero dell’Istruzione. Sempre nella sua relazione del 27 marzo la Corte dei Conti dice di essere riuscita finalmente ad accedere a Regis, quindi Regis oggi esiste, solo che è incompleto e in parte non è pubblico e non è accessibile. Noi abbiamo fatto richiesta di riesame dei nostri Foia, chiedendo di avere accesso almeno a quelle informazioni che ha potuto visionare la Corte dei Conti. Se da una parte non abbiamo dati strutturati per ricostruire come sta andando il Pnrr e dall’altra il Governo non ci dice che cosa vuole fare politicamente… si naviga nell’incertezza totale. Quel che tutti possiamo e dobbiamo chiedere al Presidente Meloni e al ministro competente Fitto è di darci dei riscontri.
Se da una parte non abbiamo dati strutturati per ricostruire come sta andando il Pnrr e dall’altra il Governo non ci dice che cosa vuole fare politicamente… si naviga nell’incertezza totale. Quel che tutti possiamo e dobbiamo chiedere al Presidente Meloni e al ministro competente Fitto è di darci dei riscontri.
Da un mese circa in seno al progetto di monitoraggio civico OpenPNRR è nato un Osservatorio su Pnrr e Terzo settore, in collaborazione con il Forum del Terzo settore. Tra le oltre 300 misure previste dal Pnrr, infatti, ce ne sono 59 che interessano anche il Terzo settore, per un totale di 270 provvedimenti attuativi. Le risorse previste per attuare queste 59 misure sono pari a 37,61 miliardi di euro. Su questi temi, qual è la situazione?
Abbiamo lanciato OpenPnrr nel maggio 2022, per avere un punto di osservazione puntuale su un piano ambizioso, rispetto a cui le informazioni rilasciate erano poche già con il governo Draghi e sono diventate ancor meno con Meloni. Con OpenPnrr facciamo il monitoraggio quotidiano delle scandenze. Il progetto con il Forum del Terzo Settore parte dal nostro monitoraggio e punta ad arricchirlo con analisi e valutazioni qualitative rispetto ai temi di interesse del Forum, per restituire ai cittadini valutazioni sui diversi aspetti. Abbiamo deciso di dedicare un focus particolare alla missione 2 del Pnrr e prima dell’estate pubblicheremo il report. Su questi temi c’è innanzitutto una grande questione di metodo che stiamo sollevando in ogni occasione possibile. Il Pnrr nel modo in cui è scritto sembra dare grande spazio a coprogettazione e coprogrammazione, al fare in modo che nei territori non solo possa arrivare dei soldi ma che proprio dai territori possa arrivare l’energia vitale, la visione. Invece per come stanno andando le cose, dobbiamo dire che quelle erano buone intenzioni e lì sono rimaste: coprogrammazione e coprogettazione hanno avuto pochissimo spazio nella definizione degli intenti e nelle misure, così come il coinvolgimento dei territori. Il Terzo Settore è stato molto marginale, vuoi perché si è preferito avviare progetti vecchi, che erano già pronti in qualche cassetto ed è mancata tutta la fase di elaborazione di nuovi progetti attraverso il coinvolgimento dei cittadini, vuoi perché l’impianto del Pnrr ha un cronoprogramma molto serrato che ha fatto saltare molti meccanismi e passaggi. Di certo come il Pnrr è stato gestito finora è l’opposto delle premesse interessanti che aveva. Questo è un problema, non è solo una questione di metodo fine a se stessa, perché un metodo diverso poteva portare a raggiungere dei risultati che in questo modo invece non è detto che arriveranno. Se invece di fare coprogettazione e programmazione decidi di ripartire le risorse su base regionale o comunale e decidi tutto con criteri centralizzati, hai tolto qualsiasi intermediazione. Ma l’intermediazione vale perché è energia, competenze. A meno che si pensi che l’intermediazione faccia solo perdere tempo… e qui torniamo al tema della visione politica.
Sui temi di maggior interesse per il Terzo settore c’è innanzitutto una grande questione di metodo. Il Pnrr nel modo in cui è scritto sembra dare grande spazio a coprogettazione e coprogrammazione. Invece per come stanno andando le cose, dobbiamo dire che quelle erano buone intenzioni e lì sono rimaste. Coprogrammazione e coprogettazione hanno avuto pochissimo spazio nella definizione degli intenti e nelle misure, così come il coinvolgimento dei territori. Di certo come il Pnrr è stato gestito finora è l’opposto delle premesse interessanti che aveva. Questo è un problema, non è solo una questione di metodo fine a se stessa, perché dal metodo derivano i risultati
Sui temi più di rilievo sociale, ci sono particolari ritardi o storture da evidenziare?
La riduzione delle diseguaglianze è uno degli obiettivi strategici del Pnrr: noi prendiamo in prestito tutti questi soldi proprio per questo motivo. In questi giorni invece va per la maggiore una narrazione che fa un capovolgimento vergognoso di questo tema, dicendo “diamo le risorse a chi le può spendere”: non è così, queste risorse nemmeno le avremmo se non avessimo dichiarato che le avremmo utilizzate per colmare un divario. Se pensiamo al divario fra Nord e Sud, l’obiettivo di riduzione delle diseguaglianze è stato tradotto con la scelta di destinare il 40% delle risorse del Pnrr al Sud. La prima questione sottile è che in realtà non si tratta del 40% di tutte le risorse, ma solo dei soldi che possono essere territorializzabili: in tal modo è stato creato un primo bel sottoinsieme. Ma anche se consideriamo solo quella quota, quel che sta succedendo – lo dice il Dipartimento per la coesione, non Openpolis – è che non sempre vengono previste clausole di salvaguardia per il Sud e che il Sud ha già perso circa 15 miliardi delle risorse che gli sarebbero spettate perché i bandi o gli incentivi sono stati fatti in modo per cui si attivano solo dove c’è domanda.
La riduzione delle diseguaglianze è uno degli obiettivi strategici del Pnrr: noi prendiamo in prestito tutti questi soldi proprio per questo motivo. In questi giorni invece va per la maggiore una narrazione che fa un capovolgimento vergognoso del tema, dicendo “diamo le risorse a chi le può spendere”. Il Sud ha già perso circa 15 miliardi delle risorse che gli sarebbero spettate perché i bandi o gli incentivi sono stati fatti in modo per cui si attivano solo dove c’è domanda.
Per esempio?
Tutta l’area "Industria 4.0” si basa su incentivi fiscali. Le risorse sono state in prima battuta divise per decreto con un riparto regionale che manteneva la quota del 40% al Sud, ma poi all’atto pratico succede che i soldi arrivano dove le industrie li chiedono: ma dove non ci sono industrie o dove queste non hanno capacità di investimento… i soldi restano lì. Stessa cosa per la scuola. Gran parte delle azioni si basano su decreti ministeriali che assegnano le risorse direttamente alle scuole, sulla base di riparti fatti un po’ con indicatori vecchi – quelli relativi alla deprivazione materiale fanno riferimento al censimento del 2011 – e un po’ sulla popolazione scolastica attuale. L’effetto è che dai i soldi dove ora ci sono i servizi e i ragazzi, ti ritrovi a lavorare oggi su un progetto di qualche anno fa, su dati del 2011, che forse vedrà la luce nel 2030… Lavori su uno scenario che non esiste. Sappiamo tutti che i bandi per nidi e scuole dell’infanzia sono stati un disastro, con pochissima partecipazione… I sindaci l’hanno detto e ridetto. Reggio Calabria per esempio non ha partecipato al bando nidi del Pnrr perché non vengono assicurati meccanismi per la sostenibilità ordinaria del servizio. Lo stesso vale per le risorse contro la dispersione scolastica: sono state individuate delle scuole e poi si è detto loro di fare una progettazione, ma non tutte le scuole hanno questa capacità. Serviva allargare il ragionamento ai patti territoriali, ma quella strada è stata sostanzialmente chiusa dal Ministero, che così facendo di fatto ha introdotto elementi di fortissime disparità nell’accesso alle risorse. Mano a mano che vedremo le graduatorie, ci renderemo conto di tante occasioni mancate. Impostare le cose in questo modo vuol dire che non ti stai proprio ponendo il tema della riduzione dei divari.
Quindi il cuore problematico dell’attuazione del Pnrr, per quanto riguarda i temi sociali, è che paradossalmente non affronta quell’obiettivo di riduzione dei divari che è il motivo per cui il Pnrr è nato?
Sì e la mancata riduzione delle disuguaglianze in alcuni casi è frutto di scelte precise che hanno l'obiettivo di mantenere lo stato attuale delle cose. Non c’è una programmazione intenzionale di servizi in aree deprivate: vale per la scuola come per la mobilità nelle aree interne. Manca una visione strategica complessiva, non sono state analizzate e tenute insieme tutte le politiche pubbliche sullo stesso tema, come se il Pnrr atterrasse nel deserto. Il Pnrr si inserisce in un contesto, invece è stato visto come una cosa a sé stante. Ma anche su altri obiettivi strategici le cose non vanno meglio, per esempio il 69% dei bandi Pnrr non prevede quote per donne e giovani.
Stiamo facendo molta meno strada di quel che avremmo dovuto e in parte nella direzione sbagliata. Finora le cose non sono andate bene. Ora però bisogna capire su cosa si vuole puntare, cambiando anche qualcosa ma mantenendo gli obiettivi strategici. Non possiamo fare dei ritardi una scusa per deviare dall’orizzonte che ci eravamo dati
Davvero si può quindi già dire che è il Pnrr un’occasione persa?
In parte, se immaginiamo il percorso che era stato prospettato all’inizio… la risposta è sì. Stiamo facendo molta meno strada di quel che avremmo dovuto e in parte nella direzione sbagliata. Finora le cose non sono andate bene. Ora però bisogna capire su cosa si vuole puntare, cambiando anche qualcosa ma mantenendo gli obiettivi strategici. Non possiamo fare dei ritardi una scusa per deviare dall’orizzonte che ci eravamo dati e che è quello di un grande intervento infrastrutturale. Mi sento di mettere un po’ in guardia, sì, perché l’Italia ha una storia per cui si passa da un’emergenza all'altra e quando sei nell'emergenza le “ricette” son sempre le solite, sbagliate: modificare il codice degli appalti, fare affidamenti diretti, togliere la valutazione di impatto ambientale… Non vorrei che questo fosse questa la proposta del governo.
Foto Remo Casilli/Sintesi
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