Riconvertire le aree costiere

«Se il mare sale, lasciamolo fare». Al via il viaggio lungo il Tagliamento

È partito dalla costa, il percorso delle associazioni che difendono la naturalità del Tagliamento. «Sono ormai pochissimi i fiumi ancora in grado di “costruire” il proprio delta e alimentare le spiagge. Gli interventi dell’uomo negli ultimi decenni hanno fermato il trasporto di sedimenti», dice il geologo Giorgio Fontolan dell’Università di Trieste. Il prof ha accompagnato il gruppo alla foce, tra Bibione e Lignano, dove in gioco c’è un’economia balneare fortissima

di Elisa Cozzarini

Dune alte fino a dieci metri, vecchie un secolo, sono tra le ultime sopravvissute di un sistema che si è formato negli ultimi duemila anni: il delta del Tagliamento, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, tra terra e mare. È iniziata qui la campagna Free Tagliamento, un viaggio in sette tappe per conoscere e difendere il fiume che attraversa il Friuli per 178 chilometri, ancora libero per lunghi tratti, dalle Alpi carniche all’Adriatico. L’iniziativa, che si concluderà a settembre, è organizzata da Legambiente, Wwf, Lipu del Friuli Venezia Giulia, dal Centro italiano per la riqualificazione fluviale – Cirf e dall’associazione Foce del Tagliamento, con il sostegno di Patagonia. Ogni tappa prevede un’escursione alla scoperta del territorio, assieme a esperti che ne illustrano le caratteristiche dal punto di vista scientifico. Alla foce, ad accompagnare il gruppo il 22 marzo scorso c’era il geologo Giorgio Fontolan, dell’Università di Trieste.

Professore, che cosa si osserva nella zona della foce del Tagliamento?

Percorrendo la fascia costiera, si possono individuare alcune delle fasi di costruzione del delta, dall’epoca romana fino ai giorni nostri. Gli antichi sistemi di spiaggia si sono formati grazie all’azione intermittente del fiume che, libero di trasportare i propri sedimenti, depositandoli, occupava via via più spazio. Questa dinamica è continuata fino a quando l’uomo, soprattutto nel secondo dopoguerra, nella gran parte dei corsi d’acqua, è intervenuto limitando le portate e la quantità di sedimenti che arrivano al mare, con dighe per la produzione di energia idroelettrica, sistemi di derivazione per l’agricoltura, prelievi di ghiaia e sabbia per l’edilizia. A quel punto, l’azione dei fiumi si è arrestata, perché non hanno più avuto la capacità di contrastare il mare. I fiumi, infatti, riescono a costruire il proprio delta solo quando sono in grado di portare una quantità di sedimenti maggiore di quella che il mare sottrae, con le onde e le correnti. Quello che noi vediamo sul Tagliamento, quindi, è la fossilizzazione di un sistema “progradante”: si usa questo termine per indicare i sistemi che avanzano verso il mare.

L’intervento del prof Giorgio Fontolan con gli attivisti alla foce del Tagliamento (foto di Laura Bertuzzi)

Ci sono esempi di fiumi ancora in grado di “costruire” il proprio delta e contrastare l’azione del mare?

Ne restano ormai molto pochi. Alcuni si trovano in Albania, dove scorrono gli ultimi fiumi liberi d’Europa, senza i vincoli dello sfruttamento umano che abbiamo citato. In altri territori, come negli Stati Uniti, il delta del Mississippi si sta contraendo tantissimo e le isole che lo circondano sono quasi completamente distrutte. Questo collasso dei delta si osserva in tutto il mondo. Quella del Tagliamento, in Alto Adriatico, è una situazione ancora abbastanza buona, in confronto.

Cosa ci possiamo aspettare nel futuro nella zona della foce del Tagliamento?

Gli ambienti naturali evolvono e si adattano al cambiamento. L’uomo invece, fissando dei baluardi di occupazione territoriale, come le località balneari di Bibione e Lignano, nel nostro caso, ha l’esigenza di contrastare le tendenze erosive legate non solo al mancato apporto di sedimenti dal fiume, ma anche all’innalzamento del livello del mare. Serve una gestione attenta, che limiti al massimo la sottrazione di ghiaia e sabbia dal fiume. Anche i prelievi per l’irrigazione devono essere contingentati. Questo sarà un problema perché la siccità estiva sta diventando sempre più acuta e prolungata. D’altra parte, la concentrazione delle precipitazioni in periodi molto brevi, per lo meno per quanto riguarda i sedimenti, può avere un risvolto positivo perché si creano piene che portano in poco tempo grandi quantità di materiale verso il mare.

Uno scorcio della spiaggia verso la foce del Tagliamento (foto di Elisa Cozzarini)

In gioco c’è il destino di un’economia turistica molto importante…

Avere una gestione oculata della sabbia significa anche individuare i punti da cui prelevarla per alimentare le spiagge a uso turistico. Va tolta dove ostacola le attività umane, per esempio dai canali di accesso alle lagune o dalla foce del fiume, in modo da favorire il passaggio delle piene eliminando “ingorghi”.

Come evolveranno le aree lagunari prossime al delta del Tagliamento?

Caorle, in Veneto, Marano e Grado, in Friuli Venezia Giulia, sono entità dagli equilibri molto delicati. Nelle lagune, man mano che si alza il livello del mare, aumenta la capacità erosiva delle onde interne, che innesca un fenomeno di auto-erosione dei fondali. Questo “annegamento” sta facendo perdere alle lagune dell’Adriatico le loro caratteristiche e la possibilità di continuare a portare avanti le attività tipiche, come l’acquacoltura. Ma questi ambienti potrebbero essere rigenerati. Le difese di una laguna, gli argini che la conterminano nella parte interna, infatti, possono essere spostati verso l’entroterra, lasciando un po’ di spazio al mare che entra. Già oggi molti territori circumlagunari, per lo più situati al di sotto del livello del mare, oggetto delle bonifiche del secolo scorso, versano in stato di precarietà e subiscono fenomeni di salinizzazione. Potrebbero essere ripensati come territori di riconversione in ambiti lagunari, con una nuova economia, che darebbe anche benefici ecologici e turistici. Visitare una valle da pesca oggi significa vedere un ambiente straordinariamente vivo, caratterizzato da un paesaggio affascinante, rifugio per l’avifauna.

Lungo la costa, ci sono ambienti che possono essere rigenerati. Si lascia un po’ di spazio al mare che entra e si creano aree umide, con una nuova economia e con benefici ecologici e turistici.

Giorgio Fontolan, geologo

Questa riconversione è concretamente possibile nelle lagune dell’Adriatico?

A Valle Vecchia, nella laguna di Caorle, la Regione Veneto ha già fatto un intervento di riconversione, che ha interessato alcuni territori oggetto dell’ultima bonifica, a fine anni Cinquanta. Le aree agricole sono diventate di nuovo aree umide, con acqua salmastra. Questo paradigma è il volano per il futuro, per valorizzare ambienti un tempo marginali, malsani, portatori di malattie. Se l’acqua vuole entrare, lasciamo che entri. Non è uno slogan, può avere ripercussioni importanti nella filiera delle aree umide, a partire proprio dalla valenza ecologica.

La presenza di aree umide in ambito costiero può avere un ruolo positivo anche per l’adattamento agli eventi meteorologici estremi?

Gli ambienti di transizione sono particolari: da un lato sono vulnerabili, dall’altro hanno una grande resilienza. Sono abituati a ricevere acque dolci e salate, sono capaci di contrastare l’azione del mare e le piene dei fiumi, diventando aree di espansione. Fare alcune riconversioni potrebbe essere una prima azione di adattamento reale, anziché cercare solo di erigere muri o realizzare opere rigide. Questi territori possono essere dimostrativi di un nuovo modo di pensare e gestire il territorio.

Questo discorso vale anche per le foci di altri fiumi?

Ogni realtà costiera è diversa. Sull’Ombrone, per esempio, fiume caratterizzato da un grande delta e aree a stagno limitrofe, si potrebbero realizzare simili transizioni in aree umide. In altre zone più densamente abitate, come il Tevere o in parte anche l’Arno, probabilmente le riconversioni di cui parlo non possono essere prese a modello. Il Tirreno, inoltre, non ha le oscillazioni di marea che caratterizzano l’alto Adriatico: sono queste il motore che mantiene vivi gli ambiti lagunari. Ma, in generale, l’idea di adattarsi assecondando le evoluzioni morfologico-geologiche va presa in considerazione, dove possibile. Certo, dove c’è un edificato molto denso, come a Jesolo, Rimini, Riccione, bisogna creare difese e, soprattutto, considerare il circuito virtuoso dei sedimenti: neanche un granello di sabbia deve andare perduto.

In apertura, la foce del Tagliamento, foto di Elisa Cozzarini

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