Sangue
Se il lavoro allontana le persone dalla donazione
Una ricerca elaborata dall’Università di Pisa evidenzia come quasi 7 ex - donatori su 10 restino oggi indecisi se tornare a donare sangue e plasma. Le cause principali: impegni di lavoro (32%), familiari (20%) e tempo da dedicare a sport o altri interessi (9%). «L’indagine dimostra che la difficoltà maggiore è quella di conciliare gli impegni della vita privata con la cultura del dono», commenta la presidente di Avis Toscana, Claudia Firenze
Non tornano a donare sangue per sopraggiunti impegni con il lavoro, la famiglia o le attività sportive. Sono i donatori di Avis Toscana che si sono presentati almeno una volta nei centri trasfusionali, ma che oggi manifestano una disaffezione principalmente imputabile a queste cause.
Lo rivela una ricerca elaborata dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, che evidenzia come quasi 7 (6,6) ex – donatori su 10 restino oggi indecisi se tornare a donare sangue e plasma. Una tendenza che, viene spiegato, appare più forte nella fascia d’età che va dai 26 ai 35 anni.
L’indagine, che fa parte del più ampio progetto Re.Atti.Vo cofinanziato da Regione Toscana e Ministero del lavoro, è durata 2 mesi (da ottobre a dicembre 2023) e ha preso in esame una platea di circa 7000 ex donatori individuati in Toscana, dalla quale è stato estratto un campione rappresentativo di 370 donatori. L’obiettivo di fondo del rapporto è duplice: incrementare il numero dei nuovi donatori da un lato, fidelizzare chi si è già prestato volontariamente, dall’altro.
Tra i “non più donatori”, viene rilevato, occorre distinguere coloro che hanno smesso del tutto da chi si trova in una condizione di incertezza rispetto alla possibilità di tornare a donare. Uno scenario che Avis Toscana osserva con forte attenzione, anche a fronte di un fabbisogno elevato e periodico.
Prendendo in esame il campione indicato, il 66% degli intervistati risulta infatti incerto se tornare a donare, mentre la parte restante (33,9%) non potrà più farlo (si tratta infatti di cessati definitivi). E, se in questo secondo segmento pesano i raggiunti limiti di età e le motivazioni sanitarie, nel primo il quadro si fa più frastagliato.
Tra le cause che hanno generato l’interruzione spiccano: gravidanze, tatuaggi e piercing, motivi di salute, viaggi, trasferimenti in altre città e la pandemia. La fascia d’età in cui si osserva il maggior numero di incerti è quella compresa tra i 26 e i 35 anni, mentre riguardo al genere si apprezza una sostanziale parità.
Quanto alla posizione occupazionale, l’indagine rivela come l’81% circa abbia un lavoro stabile, ma anche che la donazione diventa meno sostenibile per i dipendenti in ambito privato, segmento che tocca un tasso di sospensione pari al 41%.
«Tuttavia – osserva Andrea Salvini, professore ordinario di Sociologia generale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Unipi – c’è una robusta parte del campione che dichiara di essere intenzionata a tornare a donare. Per farlo, è però necessario superare le cause di disaffezione che al momento impediscono di ricominciare. Si tratta di fuoriuscire da quella che noi inquadriamo come una condizione di oblio temporaneo».
Cause che, secondo l’indagine, consistono principalmente negli impegni di lavoro (32% circa del campione), in quelli familiari (20%) e nel tempo da dedicare a sport o altri interessi (9%). Seguono nella classifica gli impegni di studio (7,6%), la difficoltà di raggiungere il centro trasfusionale (7,6%), quelle legate all’ansia e all’apprensione connesse al gesto (6,2%) e alla possibilità di prendere permessi dal lavoro (6,2%).
«È una ricerca – commenta la presidente di Avis Toscana, Claudia Firenze – al contempo interessante e scomoda. Il fabbisogno di sangue e plasma in Toscana resta in continua crescita e, accanto alla base dei donatori periodici, abbiamo bisogno di far entrare nuovi volontari e di recuperare chi si trova in una condizione di disaffezione. L’indagine dimostra che la difficoltà maggiore è quella di conciliare gli impegni della vita privata con la cultura del dono. I segnali non possono dunque essere sottovalutati, ma non ci fermiamo qui. Grazie al nostro progetto Re.Atti.Vo, stiamo già lavorando per approntare contromisure concrete per ridurre questo gap, e per promuovere una maggiore flessibilità oraria nei centri trasfusionali. Accanto a questo, prevediamo di migliorare le procedure di chiamata e di prenotazione che vengono svolte dai nostri volontari che, opportunamente formati, si confronteranno tra loro sui territori, così da rendere ancora più snello e fluido l’intero processo della donazione».
Foto in apertura anirudh-djo3iNJpaOE-unsplash
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