Non profit

Se il grano va in crisi

Anticipiamo un brano dell'ultimo libro di Carlin Petrini in uscita nei prossimi giorni

di Redazione

Anticipiamo un brano da Terra Madre-Come non farci mangiare dal cibo, l’ultimo libro di Carlo Petrini che sarà pubblicato a ridosso del 10 dicembre,  Giornata Mondiale dell’Alimentazione, Terra madre Day e ventennale di Slow Food.

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di Carlin Petrini

«In un mondo in cui è il cibo che si mangia, “quel”cibo è sovrano: il cibo industriale, omologato, seriale, globale e poco naturale. Quel cibo insostenibile che inquina la Terra, dal campo ai nostri stomaci, in tutto il suo percorso. Quel cibo che genera la crisi e l’incertezza. Comandano, sono sovrani in suo nome i suoi artefici: le industrie alimentari, le multinazionali dell’agri-business e i grandi distributori che decidono i prezzi senza tenere in nessun conto gli interessi tanto dei contadini quanto dei co-produttori.

Per far sì che mangiare il cibo torni a essere una frase attiva, deve nascere un’alleanza, un accordo tra chi lo coltiva e chi poi lo mette in pancia: ovvero tra coloro che mettono e vogliono mettere al centro delle proprie vite il cibo, e vogliono dargli l’importanza e il valore che si merita.
Tutti coloro che sono coinvolti primariamente nella creazione del cibo devono tornare a essere “sovrani”: devono poter decidere cosa seminare nei campi, quali animali mettere nelle stalle e nei pascoli, quali varietà, razze e tecniche utilizzare. Devono poter vedere rispettare le loro tradizioni culturali e l’ambiente locale; la produzione deve essere rispettata nei cicli e nella sua rigenerabilità.
Questa è quella che noi chiamiamo sovranità alimentare: un principio, un diritto la cui conquista è oggi diventata la condizione imprescindibile per tornare a mangiare e non continuare ad essere mangiati.
 
Una (ri)conquista di civiltà
La sovranità alimentare è un «principio fondamentale a livello nazionale, regionale e comunitario. Gli organismi e le comunità locali, nazionali e regionali a ogni livello hanno il fondamentale diritto e dovere di proteggere, sostenere e supportare tutte le condizioni necessarie ad incoraggiare una produzione alimentare abbondante, sana, accessibile a tutti e tale da conservare la terra, l’acqua e l’integrità ecologica dei luoghi in cui viene prodotta, rispettando e sostenendo i mezzi di sussistenza dei produttori. Nessun organismo internazionale o impresa multinazionale ha il diritto di alterare questa priorità. E per nessun motivo un’organizzazione internazionale ha il diritto di pretendere che una nazione si faccia imporre delle importazioni contro il proprio volere»
È un paradosso dei tempi in cui viviamo il fatto che questo principio, questo diritto, debba essere riaffermato e si de4bbaano lanciare continui appelli perchè venga riconosciuto ai popoli. In fondo parrebbe la cosa più normale: ho un campo, ci coltivo quello che cresce meglio, le varietà locali, e lo faccio per me e per la mia famiglia prima di tutto, dopodichè posso vendere quello che produco in più, perchè ci sono persone sul mio territorio e nei territori vicini che apprezzano il mio lavoro, la mia cura nel produrre cibo e mi pagano il giusto. Se dovessimo fare la nostra particolare analisi logica anche di questa lunga concatenazione di periodi, scopriremmo che queste semplici affermazioni non sono più così scontate e che predicati verbali come coltivare, vendere, apprezzare, pagare, sono diventati tutti una trappola; tanto per i contadini quanto per chi mangia. Gli intermediari che si trovano in mezzo al percorso che il cibo fa dal campo alla tavola, hanno stravolto questi significati, li hanno plasmati in funzione del loro profitto e ci costringono a rivendicare cose che dovrebbero essere normali. Prendiamo ad esempio il concetto di “biologico”. Se ci si pensa bene, al di là delle tante considerazi8oni che si possono fare, come idea di base il “biologico” è una sorta di controsenso: dobbiamo certificare ed etichettare il naturale, ciò che cresce senza additivi, su terreni fertili e puliti; ciò che dovrebbe essere la norma, perchè la Natura funziona così. Invece, assurdamente, è diventata l’eccezione da certificare, mentre il resto, viziato da ogni sorta di artifizio e immissione esterna nel ciclo naturale, si è trasformato nel “normale”.

La lotta per la conquista della sovranità alimentare principio fondamentale per i diritti umani dei popoli farà sì che essa diventi anche lo strumento principale per valorizzare e diffondere l’insieme dei saperi  delle comunità del cibo. Sarà la loro bandiera, dietro alla quale troviamo i diritti, gli accorgimenti, le tecniche e gli orientamenti culturali che coprono tutto l’arco di una gastronomia complessa e interdisciplinare. Un sistema di conoscenze che ridefinirà il modello per un rinnovato futuro del cibo: una vera riconquista di civiltà per un nuovo umanesimo, che si costruisce lentamente, intervenendo  sotto diversi punti di vista» 

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