Famiglia
Se il figlio si fa
Droga. I nuovi dati sulle tossicodipendenze rilanciano lallarme. E una lettera...
Spettabile redazione, siamo i genitori di un ragazzo di 16 anni tossicodipendente. Ci rivolgiamo a voi dopo aver bussato a mille altre porte, disperati per le non-risposte che ci vengono fornite dalle istituzioni. Nostro figlio, da due anni consumatore di hashish, ecstasy, cocaina ed eroina, può continuare a drogarsi liberamente, e noi genitori siamo ridotti all?impotenza assoluta. Tutto è cominciato quando il ragazzo frequentava il primo anno delle scuole superiori: all?inizio era qualche spinello, poi sono arrivate le pasticche, che prendeva in discoteca il sabato sera. Appena ce ne siamo accorti, siamo subito ricorsi ai servizi sociali e al tribunale, dato che nostro figlio, dopo essere stato scoperto, era anche scappato di casa, e lì abbiamo avuto la prima brutta sorpresa: il giudice che ha parlato con lui, invece di rimproverarlo o dissuaderlo, gli ha dato ragione. Ha accusato noi di essere troppo severi. Ha detto che in discoteca i giovani si divertono. Quello è stato l?inizio della fine. Il ragazzo si è sentito grande, forte, legittimato, la legge era dalla sua parte. Anche le assistenti sociali si sono dimostrare latitanti: per occuparsi di nostro figlio, ci hanno detto, mancavano i presupposti. Che dovevano essere dei reati. Se lui non commetteva dei reati, le assistenti sociali non ?avevano le competenze? per intervenire. Noi non sapevamo a che santo votarci, le istituzioni erano sorde e mute. Nostro figlio ha cominciato a sniffare e spacciare cocaina. Ci siamo rivolti ai carabinieri: volevamo denunciarlo, pensando che si spaventasse un po? e capisse in che razza di giro si stava mettendo. Ma anche qui niente: dovevano coglierlo in flagranza, e anche in quel caso la prima volta sarebbe stato solo un ?avvertimento?. Ma cosa deve succedere perché qualcuno intervenga? Ci devono essere dei reati gravi? Non sarebbe meglio prevenirli, questi reati, invece di aspettare che accadano una, due, tre volte? Così nostro figlio è diventato violento, anche in casa. Ci siamo rivolti, ovviamente, anche al Sert, che in un primo momento aveva rifiutato di prendere in carico nostro figlio perché ?avevano già troppo da fare con gli eroinomani?. Ora da dieci giorni sappiamo che ?tira? anche eroina. Siamo arrivati in fondo. A questo punto il Sert ha accettato di stilare un piano di riabilitazione per lui, a base di metadone. Ma noi genitori non siamo d?accordo: secondo noi il metadone non è la soluzione, perché si tratta comunque di un?altra droga. Noi vorremmo che nostro figlio fosse accolto in una comunità terapeutica, e già la comunità Incontro di don Gelmini ha dato la sua disponibilità. Ma in comunità nostro figlio non può andare, perché non vuole. Il problema è proprio questo: tutti ci dicono che senza la sua ?autorizzazione? noi genitori siamo impotenti. Eppure per legge noi abbiamo il dovere di provvedere a lui dal punto di vista materiale e morale. La stessa legge può mai impedirci di aiutarlo a uscire dalla droga? Per lui non possiamo fare niente, ma per lui nessun altro sembra fare qualcosa. La verità è che in Italia, se non si arriva ad essere eroinomani, i Sert e le istituzioni non si muovono, non intervengono. Ma chi difende i ragazzi da queste pasticche che sono sempre più diffuse, e che spesso sono la porta d?ingresso verso le altre sostanze?
Dicono che lo Stato tutela i minori. È vero, ma a noi sembra che li tuteli soprattutto dai loro genitori, mettendoli in condizione di non poter decidere per loro. Nostro figlio ha 16 anni, e oltre all?immaturità della sua età soffre di tutti i problemi psichici che derivano dal consumo di stupefacenti. Che consenso consapevole può dare una persona nelle sue condizioni? Che scelte è in grado di fare? Le pasticche e le altre droghe gli hanno cambiato il carattere, le modalità di ragionamento, noi non lo riconosciamo più. Tutti i tentativi di parlargli si sono rivelati inutili: è diventato un?altra persona. Sta male, ma non riconosce di aver bisogno di aiuto. Partiamo dalla realtà: stiamo parlando di minori, di persone che vanno tutelate, non di un adulto che può fare quello che vuole. Nostro figlio ha 16 anni. Chi ci può aiutare ad aiutarlo?
L’opinione di don vinvio Albanesi
Ma internarlo non serve
Carissimi, si legge nelle vostre parole la preoccupazione, l?angoscia e anche la rabbia che provate di fronte a un figlio che vedete, giorno dopo giorno, andare verso la rovina, senza poter fare nulla, o quasi. Con la vostra vicenda avete affrontato un problema grave e, purtroppo, più frequente di quanto si immagini: che fare di fronte a un figlio che rifiuta l?aiuto, nonostante la tossicodipendenza? Avete narrato le vicende che avete attraversato (Sert, Carabinieri, assistenti sociali etc…) e avete riscontrato un?ostilità, quasi che gli organi preposti alla salute di un ?minorenne? non possano far nulla. In Italia non esiste una legge coercitiva che permetta di prendersi carico obbligatoriamente (minorenne o maggiorenne che sia) di una persona. In soli due casi è possibile: con il trattamento sanitario obbligatorio (per problemi di salute mentale) e su ordine di un giudice che, dopo regolare processo, condanna alla prigione qualcuno. Si è molto discusso se un ragazzo tossicodipendente, giudicato incapace di gestire se stesso, possa essere ?internato?, perché di questo si tratta. Tra i vantaggi e gli svantaggi di tali ipotesi, quasi all?unanimità si è concluso che non è conveniente. I motivi sono presto detti: entrare in internamento è facile, uscirne diventa quasi impossibile. In altre parole gli svantaggi sono peggiori delle utilità: è per questo motivo che avete avuto le risposte che avete descritto. Emergono, però, due motivi di speranza: la disponibilità delle comunità di don Gelmini all?accoglienza e l?inizio del trattamento al ?metadone?. Voi giudicate negativamente questa seconda ipotesi: è vero che il metadone è una droga sintetica e quindi occorre liberarsene, ma se il vostro ragazzo non riprende minimamente in mano la sua situazione come è possibile che possa ricucire la sua storia e liberarsi definitivamente dalla tossicodipendenza?
Non considerate in contrasto le due vie, ma fate in modo che siano in connessione: quasi un prendere respiro, prima di ricominciare a camminare. Mi rendo conto di non aver suggerito nessuna ricetta risolutoria; ho voluto invece esservi vicino perché non perdiate speranza, ma possiate continuare ad aiutare il vostro ragazzo. Fraternamente.
L’opinione di Riccardo Gatti
Cercate qualche alleato
Quello che voi ponete è un problema molto complesso. Per due motivi: da una parte, almeno per quanto appare, abbiamo un ragazzo che non vuole cambiare; dall?altra, siamo di fronte a un caso di abuso di più sostanze e questo, anche se rappresenta ormai una tendenza, costituisce una situazione che, anche dal punto di vista ?tecnico?, si è impreparati ad affrontare. Ma al di là di questo, vorrei esaminare il vostro punto di vista. ?Chi ci può aiutare ad aiutarlo??, chiedete, ed è su questo punto che mi vorrei soffermare. Se il Sert ha predisposto un piano di riabilitazione con il metadone, vuol dire che il ragazzo ci è andato e lo ha, almeno minimamente, accettato.
A questo punto, i genitori devono comprendere che l?unica strada percorribile è quella di cercare degli alleati e quindi devono porsi verso il Sert in un atteggiamento di collaborazione. Il problema, quindi, non è l?idea che i genitori hanno di quello che è giusto fare (mandare il ragazzo in comunità), l?importante è ora agganciare il ragazzo.
Io non metterei in discussione se la terapia è giusta o no perché una soluzione parziale oggi è meglio di nulla.
Può essere la via per iniziare un percorso a patto che i genitori accettino di essere seguiti anche loro, mettendosi in gioco senza mettersi in competizione. È una strada per cominciare.
Siete disponibili a lavorare insieme? Magari cercando attraverso il Sert o il privato-sociale quei gruppi di auto-aiuto organizzati da genitori che hanno avuto i vostri stessi problemi? Se riusciste ad unire questi due fatti sono certo che nel tempo si svilupperanno soluzioni diverse anche per il figlio.
Certo, in Italia manca tra la comunità (con regole ?rigide? e scelta di vita precisa e totalizzante) e il Sert (che per quanto sofisticato è pur sempre un ambulatorio), una struttura intermedia più vicina alle famiglie e al territorio con tempi di trattamento più definiti nel tempo, una struttura che sarà sempre più indispensabile perché casi come il vostro, purtroppo, saranno sempre più frequenti.
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