Proposte

Se il debito dell’Africa diventa un investimento

Negli ultimi dieci anni il debito pubblico del continente è quasi raddoppiato. «È condivisibile l'idea di condonare il debito, ma questa soluzione non è efficace. Si tratta di un rimedio temporaneo che non risolve il problema alla radice», dice Roberto Ridolfi, presidente di Link 2007, un network di ong che ha proposto l'iniziativa "Release". «Un meccanismo», spiega, «per la conversione del debito in un fondo di contropartita in valuta locale destinato a finanziare progetti che si allineano con gli obiettivi di sviluppo sostenibile»

di Anna Spena

Negli ultimi dieci anni il debito pubblico dell’Africa è quasi raddoppiato. La crescita dei prestiti deteriorati è passata da 100,2 miliardi di dollari nel 2020 a 112,2 miliardi nel 2021, è balzata a 149,4 miliardi di dollari nel 2022 e poi ha registrato un ridimensionamento scendendo a 129,9 miliardi di dollari, con un calo del 13%, nel 2023.

I dati sono stati pubblicati dell’African Export-Import Bank, sono contenuti nel rapporto “State of play of debt burden in Africa 2024: dynamics and rising vulnerability”. Attualmente, 22 Paesi dell’Africa sub-sahariana sono ad alto rischio di crisi del debito esterno o già in stato di sofferenza debitoria (rispetto ai 20 del 2020). Circa il 67% del debito estero è sostenuto da dieci Paesi: Egitto (14,5%), Sudafrica (14,3%), Nigeria (8,4%), Marocco (5,9%), Mozambico (5,5%), Angola (5,3%), Kenya (3,7%), Tunisia (3,4%), Sudan (3,1%) e Ghana (3,0%). «Serve una soluzione», dice Roberto Ridolfi, presidente Link 2007, un network che raggruppa 15 tra le più importanti e storiche organizzazioni non governative italiane. «È condivisibile l’idea di condonare il debito ai Paesi africani, ma questa soluzione non è efficace. Si tratta infatti di un rimedio temporaneo che non risolve il problema alla radice. Ora è tempo di esplorare nuove strade». Link 2007 ha pensato all’iniziativa Release: una proposta di conversione flessibile, totale o parziale, del debito sovrano con la creazione, da parte del Paese debitore, di un fondo di contropartita in valuta locale, finalizzato allo sviluppo sostenibile (sustainable development goals – fund) con dotazioni nominalmente equivalenti ai valori dei pagamenti dei debiti esistenti.

Com’è nata l’idea di Release?

Cancellare il debito dei Paesi africani è giusto. Ma ad oggi non è una strada percorribile. E quindi bisogna cercare compromessi accettabili per tutti. Con Link2007 abbiamo sviluppato l’idea di Release. Che in realtà si chiama Release G20, un’iniziativa che il nostro network aveva presentato proprio durante il G20 sotto la presidenza italiana nel 2021 e discusso anche in occasione del G7. La soluzione, il compromeso di cui parlo, deve essere interessante anche per il Paese creditore, o per i privati che hanno crediti sovrani verso altri Paesi. Perché diciamolo: chi creditore rinuncerebbe al suo credito appunto? A parte, ovviamente, le considerazioni di solidarietà. Che però nella politica non funzionano.

Qual è il punto di partenza per uscire dall’impasse?

C’è bisogno di una soluzione che stimoli gli interessi dei creditori insieme a quelli del Paese debitore. E offrire un’opportunità per promuovere lo sviluppo sostenibile e rafforzare la cooperazione internazionale in un contesto globale sempre più fragile. All’inizio di questo secolo, attraverso diverse iniziative, sono stati cancellati circa cento miliardi di debito pubblico del continente. Ma la sola cancellazione non basta a garantire la stabilità economica. Spesso il debito pubblico, contratto per promuovere lo sviluppo economico e produttivo di un Paese, può diventare, a causa degli effetti negativi che genera (o dell’assenza di effetti positivi), un fattore che danneggia il tessuto sociale. Risolvere la questione del debito è anche un fatto di sicurezza internazionale, per evitare di aggravare il divario tra il Nord e il Sud del mondo.

Praticamente in cosa consiste Release?

L’idea centrale prevede la conversione totale o parziale del debito sovrano in un fondo di contropartita in valuta locale, chiamato Sdg Fund o Fondo Oss. Questo fondo sarà destinato a finanziare progetti che si allineano con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (si tratta di un insieme di 17 obiettivi che compongono l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dalle Nazioni Unite nel 2015 ndr). Il proposito di Release è quello di affrontare le fragilità strutturali dei Paesi beneficiari e stimolare investimenti sostenibili a lungo termine, contribuendo così a una crescita economica resiliente e inclusiva che possa ridurre le diseguaglianze e creare posti di lavoro. Facciamo un esempio: Io sono un Paese debitore, devo restituire dei soldi a dieci Paesi creditori e con ognuno di questi intavolo una trattativa per rinegoziare una parte della restituzione del mio debito che, invece di ritornare al Paese creditore, rimane in un fondo Sdg Fund o Fondo Oss del Paese debitore. Esistono già in vari Paesi africani molti fondi legati agli obiettivi dello sviluppo sostenibile, quindi fondi che mirano ad investimenti sostenibili sia dal punto di vista ecologico, sia ambientale, ma soprattutto dal punto di vista sociale. 

Perché un creditore dovrebbe farlo? 

Se io sono il Paese, o il privato, creditore devo avere un’opzione di privilegio, di prima mano, di first choice rispetto a questi fondi nel Paese debitore da poter far utilizzare alla mia impresa per ulteriori investimenti.

Com’è cambiata la composizione del debito africano?

In passato, la maggior parte del debito esterno africano era dovuto a creditori ufficiali – Paesi ad alto reddito e istituzioni multilaterali come la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. Oggi invece la Cina e i creditori privati costituiscono una parte significativa dei debiti accumulati, il che significa che una maggior porzione del debito non è agevolato. Alla fine del 2023, il 49% del debito africano era in mano di privati, il 23% a creditori bilaterali e il 34% a creditori multilaterali. La quota del debito commerciale sul debito totale è già aumentata dal 17% nel 2000 al 43% nel 2021. Per essere più specifici la Cina è diventata il principale creditore bilaterale dell’Africa, con enti pubblici cinesi che detengono quasi 63 miliardi di dollari del debito esterno africano nel 2022, e creditori privati che ne detengono oltre 24 miliardi. 

Quali i primi Paesi da coinvolgere con Release?

Non possiamo guardare ai Paesi troppo poveri perché non hanno la governance sufficiente, in molti casi, per poter gestire un’operazione così complessa. C’è bisogno di intavolare negoziati multilaterali con tutti i creditori, avere un fondo, o aprirne uno, gestirlo in coordinamento con i creditori originali. Ad oggi i Paesi da coinvolgere potrebbero essere il Ghana o lo Zambia. Ma anche il Camerun o il Kenya. Questi sono solo esempi. E lì possono entrare in gioco anche le Agenzie delle Nazioni Unite, ma solo in modo consultivo. Non dobbiamo creare dei meccanismi burocratici, troppo farraginosi, troppo complicati, altrimenti rischiamo che tutto si fermi prima di iniziare. Dobbiamo creare invece dei meccanismi di valutazione ex ante, in cui le agenzie dell’Onu, la Banca Mondiale, ma anche la società civile possono contribuire a validare i progetti dal punto di vista della sostenibilità.

Cosa ci “guadagna” la comunità internazionale?

Release potrebbe rappresentare la proposta vincente per la comunità internazionale per trovare un accordo a lungo termine per la riduzione dell’onere del debito e per l’individuazione di un processo di ristrutturazione sistematica e sostenibile del debito sovrano nei Paesi più fragili e maggiormente indebitati, unitamente agli investimenti sugli Oss. L’iniziativa avrebbe un forte impatto sia a livello politico internazionale, come passo fondamentale nell’attuazione degli impegni del Finanziamento per lo Sviluppo, che di programmazione ed operatività nel campo della cooperazione internazionale, per una ristrutturazione del debito che sia equa e regolare.

Foto Unsplash

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