Cultura

Se il Corano perde il popolo

L'osservanza dei precetti è sempre più scialba

di Redazione

Grandi banchetti notturni e sfilate di ricche famiglie
nei centri commerciali. È quello che ho visto, anche
durante il Ramadan, viaggiando nei Paesi musulmanidi Susanna Tamimi
Quante volte ho ascoltato discussioni sulla compatibilità tra Islam e Occidente. Quante volte ho ripensato alle parole di Essere musulmano europeo di Tariq Ramadan. Cullata dalla voce dei muezzin, in un viaggio attraverso Palestina, Giordania e Siria, ho osservato società dove le bandiere nazionali s’intrecciano con il simbolo della mezzaluna, e mi sono chiesta se in questi Paesi è davvero più facile seguire le parole di Allah. Essere musulmani nei Paesi di natura islamica comporta senz’altro meno ostacoli. Moschee ad ogni angolo, istituzioni e leggi compatibili, la possibilità di manifestare il proprio credo senza alcun timore.

Al ristorante
Ma fino a che punto basta vivere nel Dar Al’Islam per essere “buoni” musulmani? Quel che ho visto nei miei viaggi sono società segnate da divari socio-economici spaventosi. Ricche famiglie sfilano per grandi centri commerciali ricoperti d’oro mentre a pochi chilometri di distanza beduini o profughi soffrono la fame. Li ho osservati mentre mangiavano nei grandi fast-food americani e nella loro corsa verso l’acquisto di abiti alla moda. Li ho visti spendere e spendere ancora. Non è forse vero che il credente deve agire sia spiritualmente che materialmente per alleviare la sofferenza e la fame altrui? Ho digiunato nel mese di Ramadan per comprendere i lussi del mio vivere. Nel mese della purificazione e del digiuno ho osservato le vie delle capitali arabe. Niente a che vedere con l’indifferenza che i musulmani possono avvertire a Milano. Un’intera società in festa. Un clima natalizio per ben quaranta giorni e quaranta notti. Ma come il Natale si dipinge ormai di contanti e fiocchetti, anche il Ramadan pare aver perso un po’ del suo valore. Nei grandi convivi al giungere del tramonto, ho visto piatti colmi gettati nell’immondizia e banconote volare nel vento. Mi sono ritrovata in negozi colmi di gente che spintonava, gridava e litigava per avere un po’ di datteri o un sacco di pane. Ho sentito il mese del Ramadan vicino fisicamente, ma lontano dai cuori della gente.

Per strada
Per le strade ho indossato abiti modesti, ma mi sono sentita sbagliata. Non abbastanza alla moda per quella società femminile caratterizzata da veli colorati, trucchi vistosi e tacchi vertiginosi. Mi sono lasciata addobbare da amiche velate per sentirmi provocante perfino per i miei standard occidentali. Sono inadatta perché non mi trucco e non evidenzio gli occhi scuri mediorientali, ma non siete voi a dirmi che il motivo del vostro velo è nelle parole del Corano: «E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare» (Sura an-Nur: 24). ll Corano nello stesso tempo fornisce le linee guida per una società giusta, per un corretto comportamento degli uomini e per un equo sistema economico. Ho cercato questo nei Paesi del Dar Al’Islam, ma non l’ho trovato. Forse ho cercato nei luoghi sbagliati o forse semplicemente non esistono luoghi. Essere buoni musulmani non significa abitare nel Paese giusto. Essere musulmani perché cittadini di un Paese dove tutti sono musulmani non è l’inizio né la fine. Si può essere credenti ovunque.

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