Lavoro sociale

Se il cooperatore sociale chiede l’anticipo del Tfr per pagare le gomme dell’auto

Le condizioni del lavoro della cooperazione sociale al centro dell'assemblea di Legacoopsociali Lombardia. Massimo Ascari, candidato unico alla presidenza nazionale: «Il limite è stato superato, il rapporto con la pubblica amministrazione va completamente rivisto»

di Stefano Arduini

Non ha usato mezzi termini il vicepresidente e candidato unico alla presidenza di Legacoopsociali (il ramo delle cooperative sociali di Legacoop) Massimo Ascari, intervenendo all’assemblea regionale lombarda della sua organizzazione che si è tenuta al teatro Litta di Milano: «Se un cooperatore arriva a chiedere l’anticipo del Tfr per riparare la caldaia o cambiare le gomme dell’auto, significa che è ora di dire basta». Il riferimento è alle condizioni di lavoro della cooperazione sociale. E ancora: «Nella mia cooperativa, la Gulliver di Modena, nell’ultimo anno abbiamo registrato 360 cessazioni di rapporti di lavoro e 500 nuove assunzioni. Con un turn over di queste dimensioni è davvero complicato lavorare e alimentare i principi cooperativi». «Se fra la nostra gente, che sono le persone che quotidianamente si occupano di cura e inclusione sociale nei territori delle nostre regioni, ci sono tassi di insoddisfazione così alti come quelli che abbiamo registrato negli ultimi anni, significa che non possiamo più aspettare per dare una svolta nei rapporti fra cooperazione sociale e pubblica amministrazione che, come dice il presidente nazionale di Legacoop, Simone Gamberini, è il peggior datore di lavoro che oggi ci sia in Italia». Se il «limite è stato superato» come invertire la rotta? «Dobbiamo intensificare l’attività di pressione sul decisore politico, fare lobby senza sconti in senso anglosassone, ne va della qualità della vita dei nostri lavoratori e dei tanti fruitori dei servizi che gestiamo».   

Massimo Ascari

In occasione dell’incontro milanese, dopo la recente protesta per chiedere più risorse per il welfare, le cooperative sociali di Legacoop Lombardia hanno ribadito l’esigenza che la politica prenda atto della centralità del lavoro sociale nell’economia regionale.

«La cooperazione sociale in Lombardia è un fondamentale punto di riferimento per la cura, attraverso l’erogazione di servizi di welfare e per tenere unite le comunità. Ha un peso importante dal punto di vista del numero di cooperative, di addetti ma anche di presenza capillare nel territorio. Senza i lavoratori e le lavoratrici sociali la qualità del welfare non sarebbe quella che abbiamo oggi e lo abbiamo sperimentato durante il periodo della pandemia» ha dichiarato il presidente di Legacoop Lombardia, Attilio Dadda. «Purtroppo viviamo nell’era del ribasso dei servizi sociali e la pubblica amministrazione non riconosce alla cooperazione questo ruolo cruciale fino in fondo. È chiaro che dobbiamo riprogrammare il rapporto con il pubblico ed è quello che stiamo chiedendo alle istituzioni, per spostare la riflessione da una logica puramente economica al ribasso a una presa di coscienza e di valorizzazione del lavoro sociale. Va restituito alla cooperazione sociale, che in questa regione esprime eccellenze e competenze, un ruolo chiave anche in termini di coesione sociale, innovazione e risposta ai bisogni delle comunità, sia attraverso il riconoscimento del giusto costo del lavoro sia attraverso la valorizzazione dei profili professionali e delle esperienze che consentono l’alta qualità ed efficacia dei servizi» ha concluso Dadda.

«In un momento di crisi nella fiducia del lavoro sociale e di un difficile rapporto con la pubblica amministrazione, che le cooperative vivono quotidianamente, è fondamentale aver chiari due obiettivi principali da perseguire: riprenderci il ruolo da protagonista che la cooperazione ha nel sociale e rimettere al centro il tema del lavoro» ha affermato Marta Battioni, coordinatrice settore welfare di Legacoop Lombardia. «La cooperazione sociale ha un peso importante nell’economia regionale con 180 cooperative associate, 190 mila soci e un valore della produzione che supera i 365 milioni di fatturato, nonostante la fragilità di alcuni servizi a causa della mancanza di figure fondamentali come educatori e Oss I dati ci dicono che ci sarà sempre più bisogno dei nostri servizi, le fragilità aumentano ma anche la ricerca di benessere. 

Marta Battioni durante il suo intervento

Nella cooperazione sociale il turn-over è ormai prossimo al 30% e superiore tra i giovani con il 36%. È quanto è emerso dall’indagine “Lavorare nel sociale” presentata durante l’assemblea dalla ricercatrice Sara Depedri di Euricse che ha coinvolto un campione di cooperative lombarde.

Dai dati emerge come da sempre, sin dal 1998 (anno della prima indagine sul tema), un’elevata motivazione intrinseca nel lavoratore e grande soddisfazione per il proprio lavoro sono elementi cruciali e ricorrenti tra i lavoratori e le lavoratrici delle cooperative sociali lombarde. Le cooperative sono infatti in grado di offrire il giusto mix di incentivi e di contatti psicologici che portano a sviluppare fedeltà nell’organizzazione e soddisfazione per il proprio lavoro.

Tuttavia, oggi, soprattutto tra i giovani si nota un crescente turn-over oltre che una difficoltà nei processi di selezione e nei flussi di entrata. Tra i giovani che hanno lasciato il lavoro in cooperativa si nota come il 44,8% lo ha fatto per dimissioni volontarie, il 53,6% per contratti in scadenza. Si notano inoltre differenze tra gli under 35 su cui le statistiche nazionali mostrano una maggior rilevanza data al lavoro rispetto ad altri aspetti della vita, mentre tra gli over emergono l’influenza di burn out e necessità di conciliazione con la vita privata.

Le condizioni principali per cui i giovani sono disposti a lasciare le cooperative sono: miglior inquadramento (40,7%) e miglior contratto per ore e stabilità (33,6%). L’ente pubblico si configura così come competitor per stipendio ma non per ambiente di lavoro. Tuttavia, dai dati emerge come il lavoro in cooperativa sia comunque molto attrattivo anche per i giovani che tra gli elementi di maggiore attrattività indicano l’utilità sociale del lavoro, il sentimento di orgoglio e appartenenza, il contesto lavorativo e la possibilità di accrescere le proprie competenze, oltre alla possibilità di avere un contratto di lavoro dipendente. Non si possono però non considerare i rischi in ambito lavorativo che possono portare a burn-out per il troppo impegno a livello mentale, all’eccesso di coinvolgimento emotivo, alle troppe responsabilità.

Foto in apertura: Towfiqu barbhuiya su Unsplash

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.