Marco ha 16 anni e il consiglio di classe gli ha comminato una punizione esemplare: tre giorni di sospensione. Spinto dai compagni di classe, durante il cambio dell’ora si avvicinava alle ragazze e mimava gesti sessuali, mentre i compagni bulletti se la ridevano. Avevano preso di mira le ragazze più deboli della classe, le più imbranate, incapaci di reagire, che subivano e tacevano. Un giorno Marco è andato oltre, si è presentato davanti alle sue compagne con un coltello a serramanico per far ancor più lo sbruffone, ma ha calcolato male i tempi e si è trovato davanti l’insegnante di filosofia, che non ha perso tempo. Il giorno successivo il consiglio di classe al gran completo, più i rappresentanti degli studenti, oltre a Marco e ai genitori, hanno discusso e sanzionato.
A me era parso che Marco, pur colpevole delle sue azioni riprovevoli, pagasse quella sanzione anche per il gruppo, che si era divertito alle sue spalle. I toni espressi dai docenti erano stati più da tribunale che da luogo deputato alla formazione. Ho dovuto ricordare che siamo insegnanti e lo scopo della punizione deve avere un significato educativo, mai punitivo fine a se stesso. La mamma di Marco, affranta per le malefatte del figlio, è sembrata sollevata, e anche lui il giorno dopo è venuto a ringraziarmi.
E il gruppetto che l’aveva fatta franca, che fare per fargliela pagare? Quest’anno il calendario di calcio a 5 prevedeva una partita con la rappresentativa di un istituto professionale, già campione l’anno scorso e prima in classifica quest’anno. Via dalla squadra Alessio, Sandro, Luca, Sebastiano e dentro i bulletti, che fin dalle prime battute hanno perso la consueta spavalderia e sono entrati nel panico assoluto fino a subire gol a ripetizioni e una cocente sconfitta. Il giorno dopo tutti sapevano dell’umiliante risultato rimediato dal nostro liceo, e durante la ricreazione non sono mancati commenti ironici rivolti ai bulletti, che se ne stavano in un angolo a testa china.
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