Mondo
Se i sufi scendono in campo
Si presentano alle elezioni. Sono un fattore di speranza per un paese lacerato
di Paolo Branca
La notizia che i mistici musulmani (sufi) abbiano deciso di scendere in campo nelle prossime elezioni egiziane è stata trascurata dai nostri media. Il seguito che godono nel Paese, calcolabile in milioni di seguaci, non dovrebbe indurre a ritenerla irrilevante, ma evidentemente chi non partecipa ai riti del potere e del contropotere ha ben scarse possibilità di venir preso in considerazione.
Quando si parla di sufi in Egitto si parla di dieci milioni di persone e un’ottantina di congregazioni. Nel 1976 è stata emanata per loro la legge 118, con l’istituzione di un alto consiglio delle congregazioni sufi, composto da rappresentanti delle guide spirituali, delle comunità degli aderenti, di alcuni ministeri governativi e dell’accademia sunnita del Cairo al-Azhar.
La loro partecipazione politica sino alla caduta di Mubarak è stata debole se non assente. Hanno tenuto una posizione politicamente quietista, vivendo all’ombra della dittatura, interessati quasi esclusivamente del proprio universo spirituale. Ora scendono in campo con un proprio partito, Hizb al-tahrir al-sufi (partito sufi di liberazione).
Le istanze più profonde delle primavere arabe (libertà, giustizia e dignità) avrebbero tuttavia qualche chance in più se ad occuparsene (per strumentalizzarle ai propri fini e quindi tradirle nella sostanza) fossero solo i riciclati dei vecchi regimi (tutt’altro che scomparsi) in accordo con gli islamisti che tentano di incassare vittorie non meritate, insinuandosi nel vuoto di potere che si è generato con la caduta dei dittatori.
A ben guardare ci sarebbe da augurarsi che anche qui la maggioranza silenziosa dei musulmani che in moschea non ci va (per mille legittimi motivi), dovrebbe dire la sua su come dovrebbe essere un luogo di culto islamico che essi frequenterebbero volentieri.
Il silenzio di tanta brava gente lascia che altri, scaltri se non ruffiani, occupino tutto il campo mediatico e si presentino alle istituzioni quali unici intelocuotori. La democrazia è partecipazione, equilibrio delle forze in campo, rispetto e garanzia per i diritti di tutti. Senza queste premesse imprescindibili è come giocare alle roulette.
Chi si chiama fuori è complice di quanto faranno altri, anche a suo nome. Potrà mai migliorare il mondo se si continua così ?
Paolo Branca
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