Politica
Se anche lo Stato amplifica o addirittura crea le diseguaglianze
Lo Stato non è mai stato così protagonista e così prodigo come nell'ultimo anno, ma nonostante questo, come ha ricordato Draghi, le diseguaglianze si amplificano. Occorre uno Stato capace del coraggio di scelte selettive, uno Stato che non ha paura a distinguere tra imprese e individui, tra chi già ha o ha aumentato i suoi profitti e chi non ha e li ha decisamente persi chiamato a fermarsi per garantire la salute di tutti. Draghi ieri a Oporto ha mostrato di esserne cosciente, ed è già qualcosa
«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; a chi non ha sarà tolto anche quello che ha». Nel 1968, il sociologo americano Robert K. Merton, padre del Nobel per l’Economia Robert C. Merton, pensò di riferirsi a questo passo del Vangelo secondo Matteo (13,12) quando parlò di “Effetto San Matteo” per definire e studiare il fenomeno secondo il quale certi vantaggi iniziali tendono a accumularsi e amplificarsi, creando nel corso del tempo un divario sempre maggiore tra chi ha di meno e chi ha di più, in termini di ricchezza, ma anche in istruzione, credibilità, prestigio e risorse.
Gli “Effetti di Matteo”, quando operano senza un intervento correttivo, in genere producono crescente divario tra chi ha di più e chi ha meno, ed è purtroppo quello che è successo negli ultimi 14 mesi.
Ora il più diffuso luogo comune vorrebbe che le diseguaglianze siano prodotte dal capitalismo e dal mercato e che solo grazie allo Stato l’interesse generale e il riequilibrio delle disparità di reddito e di opportunità possono guarire. È un luogo comune che contiene parte di verità, eppure la pandemia da cui ancora non siamo usciti, ci insegna che non può esserci ripresa e ripartenza senza intraprendere e che lo Stato, mai protagonista come in questo frangente, invece di produrre più uguaglianza può aggravare diseguaglianze e disparità quando non addirittura crearle. E questo è ancor più intollerabile non solo perché lo Stato e la Pubblica Amministrazione con le sue articolazioni territoriali e burocratiche vengono meno alla loro funzione regolatrice, redistributrice, ma anche perché le risorse usate sono denari di tutti noi.
Nello specifico si pensi solo all’ammontare di risorse che come mai prima lo Stato ha messo in campo dal marzo 2020 ad oggi per trasferimenti emergenziali come la CIG in deroga, il blocco dei licenziamenti, l’estensione della durata dei sussidi di disoccupazione, il bonus per gli autonomi, il reddito di emergenza, l’incremento degli importi dei sussidi di disoccupazione e del reddito di cittadinanza e altro. Solo la somma degli scostamenti di bilancio è pari a quasi 200 miliardi. Stanziamenti in deficit che se per una parte hanno attenuato le sofferenze da lockdown, dall’altra le hanno addirittura create.
Nonostante il blocco dei licenziamenti, per esempio, l’Istat ha registrato a febbraio rispetto a quel che accadeva nello stesso mese del 2020, prima che scoppiasse la crisi del Covid, quasi un milione di posti di lavoro andati in fumo. Ma quel che è peggio è che è stata creata una disparità tra i “garantiti” dell’occupazione, quegli illicenziabili e in cassa, e le fasce più fragili e senza protezione donne (il 90% dei nuovi disoccupati) e giovani.
O i piccoli imprenditori del commercio, quelli dei negozi non alimentari e dei servizi (turismo e altro), che secondo Confcommercio hanno chiuso i battenti causa pandemia in 240mila perché obbligati a chiudere per ragioni sanità pubblica ma tardivamente e in misura troppo piccola raggiunti dai bonus e misure di sostegno.
Così come gli interventi su Reddito di cittadinanza e Reddito di emergenza che non hanno evitato la crescita del numero di famiglie in povertà assoluta che è salito di 335 mila unità, passando da 1,67 milioni nel 2019 a 2 milioni nel 2020, mentre quello delle persone povere è salito di un milione, da 4,6 a 5,6 milioni. E anche qui approfondendo la disparità tra i più garantiti e la fascia che più avrebbe avuto bisogno di sostegno, le famiglie di soli stranieri e le famiglie con figli minori che hanno subito le conseguenze più gravi dell’emergenza socio-economica in corso.
Se i copiosi interventi dello Stato aumentano o addirittura creano diseguaglianze si spiegano i due fenomeni agli opposti: da una parte, secondo Abi, l’incremento nel 2020 di depositi bancari di privati che registrano un più 181 miliardi, e dall’altro le code a Pane quotidiano e ai Centri Caritas per ritirare pacchi di cibo dove si sono notati i novelli working poor ovvero gli autonomi, partite Iva, piccoli commercianti finiti sotto la soglia di povertà. Perché allora non prevedere una tassa di solidarietà sui garantiti e su chi non ha perso un euro in questo anno aumentando i suoi risparmi?
Non si possono poi tacere le diseguaglianze e disparità nella sanità quando il piano vaccinale ancora sino a febbraio scorso escludeva, come denunciato dalla Fish, il 70% delle persone con disabilità e malattie rare, con le Regioni, che ancor oggi continuano a muoversi in “ordine sparso” nonostante i richiami del generale Figliuolo, dopo aver favorito una vaccinazione per categorie (docenti universitari in Dad e magistrati che lavoravano in smart working, per esempio) invece di privilegiare anziani e persone fragili.
Giustamente Mario Draghi intervenendo ieri al Social summit di Oporto si è lamentato delle troppe diseguaglianze citando proprio i giovani e le donne, dicendo: “Da tempo l'Ue ha fatto del suo modello sociale un punto di orgoglio. Il modello prevede nessuno venga lasciato indietro. Già prima della pandemia, però, le nostre società e il mercato libero erano frammentati. Disuguaglianze generazionali, disuguaglianze di genere e disuguaglianze regionali”. Già, diseguaglianze che lo Stato, gli Stati oggi come non mai sono chiamati con urgenza a curare. Draghi nel suo intervento a Oporto ha dimostrato di averne contezza, e ha detto “Mentre i cosiddetti garantiti sono meglio retribuiti e godono di una maggiore sicurezza, i non garantiti soffrono una vita lavorativa precaria. Questo sistema è profondamente ingiusto e costituisce un ostacolo alla nostra capacità di crescere e innovare”.
Nel suo libro Disuguaglianza: che cosa si può fare? l’economista che più ha studiato le diseguaglianze, sir Anthony Atkinson, diceva che le diseguaglianze non sono determinate da fattori al di fuori del nostro controllo, ma sono invece “il prodotto di decisioni prese da aziende, ricercatori e governi”. Per Atkinson infatti “Il governo può avere un’influenza sulla strada che viene imboccata”. Per questo abbiamo bisogno di uno Stato che sia il primo attore ad interessarsi delle problematiche di equità legate alla crisi e a una ripartenza sostenibile, soprattutto oggi con le tante risorse in campo.
Ma occorre uno Stato capace di scelte selettive, uno Stato che non ha paura a distinguere tra imprese e individui, tra chi già ha o ha aumentato i suoi profitti e chi non ha e li ha decisamente persi chiamato a fermarsi per garantire la salute di tutti. Tassando gli uni, le ricchezze degli uni, e sostenendo gli altri. Tassando le imprese che non investono e che realizzano profitti come non mai e aiutando inevece quelle in difficoltà.
Questa ci sembra la strada ma richiede coraggio.
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