Lavoro sociale
Se a scuola arriva l’educatore di plesso
Da settembre 2024 tredici ambiti della provincia di Bergamo stanno sperimentando la figura dell’educatore di plesso. L'educatore non è più a supporto del singolo alunno con una certificazione, ma di tutta la comunità scolastica. La differenza più lampante? Che quando l'alunno con disabilità è assente, l'educatore resta in servizio. Un'organizzazione del servizio che produce più qualità e valorizza la professionalità degli educatori

È possibile immaginare uno scenario in cui l’assistenza educativa scolastica non sia più pensata solo a beneficio del singolo studente con disabilità ma per l’intera compagine degli studenti? La risposta arriva dalla provincia di Bergamo dove comuni, istituzioni scolastiche e soggetti gestore del servizio educativo hanno avviato da settembre 2024 la sperimentazione della figura dell’educatore di plesso, che non è più solo supporto ad personam ma si mette al servizio di tutta la comunità scolastica.
L’educatore di plesso: una risorsa per tutta la scuola
Questo nuovo modello prevede la presenza di un’équipe di educatori, di norma stabile e continuativa all’interno dell’istituto scolastico, che promuove l’inclusione di tutti gli alunni attraverso l’attivazione di laboratori e progetti integrati: nel gruppo classe, tra le classi del plesso, tra scuole diversi e in collaborazione con i servizi territoriali.
A livello normativo la prima definizione della figura dell’educatore è nella legge 104/1992 che prevede che gli enti locali debbano garantire l’assistenza per l’autonomia degli studenti con disabilità di qualsiasi tipo, mentre le scuole devono garantire il sostegno allo studio assegnando alla classe dei docenti specializzati. È dunque in capo agli enti locali l’assegnazione dell’assistenza educativa all’alunno nel momento in cui viene certificato lo stato di disabilità e il diritto ad avere una persona di supporto. Per questo motivo, l’educatore non viene nominato dalla scuola, ma attraverso le cooperative, enti gestori del servizio, che stipulano convenzioni con gli enti locali che stanziando i fondi necessari.
L’educatore diventa un moltiplicatori di risorse. Non è più una figura ad personam, ma per tutti gli studenti e se vogliamo per l’intera comunità
Dario Ianes, pedagogista ed esperto di inclusione scolastica
Nadia Pautasso è la referente Assistenza educativa scolastica di Confcooperative Federsolidarietà Bergamo, che rappresenta otto delle 15 cooperative sociali coinvolte nel progetto. Spiega così il progetto: «l’ente gestore del servizio è responsabile del coordinamento dell’intero organico educativo, mettendo a disposizione le risorse necessarie in base alle richieste delle scuole, alla diagnosi e alle fragilità degli studenti. Una delle principali problematiche che abbiamo riscontrato in questi anni è la crescente complessità, dovuta all’aumento significativo di alunni con certificazione, con cui gli educatori delle nostre cooperative devono confrontarsi. Per questo crediamo importante costruire insieme un cambiamento, apportare innovazione e migliorare il servizio. Inoltre l’introduzione della figura dell’educatore di plesso consente il riconoscimento della professionalità dei nostri educatori perché possono diventare parte del progetto formativo complessivo dell’istituto a cui sono assegnati collaborando con tutto il personale scolastico».
La nuova percezione dell’educatore all’interno della scuola
La sperimentazione dell’educatore di plesso, che ha coinvolto 13 ambiti territoriali per un totale di 73 plessi scolastici, 233 educatori e 530 alunni con disabilità, prova a dare un ruolo diverso all’educatore, pensando possa programmare insieme ai docenti, all’interno dei traguardi annuali di competenza, le principali unità di lavoro che facilitano i processi inclusivi.

«Con questo progetto sta cambiando non solo il ruolo pratico dell’educatore ma anche la percezione della figura dell’educatore all’interno della scuola», spiega Lidia Brignoli assistente educatore che partecipa alla sperimentazione. «La prima differenza che salta all’occhio è la nostra presenza all’interno dell’edificio scolastico anche quando l’alunno da noi seguito è assente per malattia. In questo modo abbiamo la possibilità di entrare in contatto con gli altri alunni delle varie classi e possiamo lavorare in un’ottica di maggiore collaborazione con gli insegnanti, i docenti curricolari e gli insegnanti di sostegno. Siamo anche più tutelati a livello di welfare personale e lavorativo, perché ci vengono riconosciute quelle ore in cui il nostro alunno è assente. La nostra presenza non è più riferita solamente a un alunno specifico, ma diventa un contributo per il benessere di tutti gli studenti e di tutto il corpo studentesco che si trova all’interno della scuola».
La sperimentazione di Bergamo, infatti, diversamente da quanto previsto dai contratti per la figura dell’assistenza educativa, prevede che in caso di assenza dell’alunno ci sia comunque la presenza in servizio dell’educatore di plesso per svolgere le attività di promozione dell’inclusione con il gruppo classe, coordinandosi con docenti ed équipe educativa. In questi casi l’Amministrazione comunale potrà valutare, per delle ore concordate, il passaggio dell’educatore in altra sede, in un’ottica di perseguimento delle funzioni inclusive, oltre che di controllo dell’efficacia, dell’efficienza e dell’adeguatezza dell’utilizzo delle risorse pubbliche.
La nostra presenza non è più riferita solamente a un alunno specifico, ma diventa un contributo per il benessere di tutti gli studenti
Lidia Brignoli, assistente educatore
Dal punto di vista dei docenti di classe e di sostegno l’introduzione dell’educatore di plesso ha cambiato il modo di fare didattica. Infatti, come spiega l’insegnante di classe Antonella Florenti, «il fatto che l’assistente educatore possa gestire un gruppo di bambini ha consentito di avere una visione più globale dei processi di apprendimento che le relazioni attivano e ha un proficuo scambio di competenze tra i docenti di classe e gli assistenti educatori». Raffaella Fanelli, insegnante di sostegno in una delle scuole in cui è stata avviata la sperimentazione, aggiunge: «ho osservato che queste attività stanno avendo una ricaduta positiva, non solo sui bambini che seguo individualmente, ma su tutta la classe. Questo tipo di approccio ludico favorisce l’inclusione e la partecipazione attiva di tutti i bambini, non solo di chi ha più o meno capacità. Gli studenti sono stati fin da subito entusiasti di questo nuovo modo di lavorare in un gruppo così eterogeneo. Inoltre, anche, le famiglie hanno notato che c’è una maggiore collaborazione fra insegnanti ed educatori. I ruoli tra queste due figure sono diventati interscambiabili».
L’educatore di plesso come moltiplicatore di risorse
L’avvio della sperimentazione è stato preceduto da un percorso formativo guidato da Dario Ianes, esperto di pedagogia e inclusione scolastica, co-fondatore del Centro studi Erickson, e da Sara Franch, referente didattica Erickson. Durante la formazione, rivolta a educatori, docenti curricolari e di sostegno, genitori e assistenti sociali dei diversi ambiti territoriali che partecipano alla sperimentazione, sono state approfondite nuove prassi educative incentrate su: corresponsabilità e collaborazione strutturata, didattica plurale e flessibile basata sulla valorizzazione delle differenze, valorizzazione dei pari in ottica orizzontale e verticale, e apprendimento esperienziale.

«Pedagogicamente il lavoro dell’educatore di plesso sul contesto è molto vantaggioso perché stimola le risorse di tutti gli studenti», spiega Ianes, «quindi l’educatore diventa un moltiplicatori di risorse. Non è più una figura ad personam ma per tutti gli studenti e se vogliamo per l’intera comunità. Del resto lo studente con disabilità è all’interno del gruppo. Non è pensabile solo. Dunque quando l’educatore realizza, per esempio, un laboratorio per riparare le biciclette non lo penserà solo per il suo studente ma per un gruppo di studenti. Lavorare insieme arricchirà tutti. Se lo sguardo dell’educatore è rivolto solo al suo studente perdiamo l’occasione di permettere a tutti di beneficiare di una professionalità capace di generare inclusione. La sperimentazione sta cercando di affermare che l’educatore è importante se è una figura per il sistema scuola e non solo per il singolo alunno».
La collaborazione tra enti: una sfida per il futuro
Dunque un progetto che vede la fragilità come opportunità per la comunità di appartenenza. E che grazie all’approccio provinciale, omogeneo e coordinato, nell’assegnazione delle risorse di assistenza educativa, assicura un sostegno efficace e uniforme a tutti gli studenti residenti. Marcella Messina presidente del Collegio Sindaci Ats Bergamo, ente promotore della sperimentazione a livello provinciale per conto degli ambiti territoriali sociali e dei Comuni, e Benvenuto Gamba, responsabile Servizi sociali del Consorzio servizi Val Cavallina evidenziano che «la sperimentazione ha l’obiettivo di superare la logica dell’ente locale come mero finanziatore del progetto di assistenza educativa scolastica, mettendo in evidenza il fatto che l’assistenza educativa è lo strumento con cui l’ente locale promuove lo sviluppo integrale dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili. In questo modo, l’ente locale si riappropria della dimensione progettuale».
La sperimentazione vuole superare la logica dell’ente locale come mero finanziatore del progetto di assistenza educativa scolastica, mettendo in evidenza il fatto che l’assistenza educativa è lo strumento con cui l’ente locale promuove lo sviluppo integrale dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili
Marcella Messina, Collegio Sindaci Ats Bergamo e Benvenuto Gamba, Consorzio servizi Val Cavallina
In conclusione «la sperimentazione ha anche l’intento di garantire un livello di professionalizzazione alla figura dell’assistente educativo, una figura che la scuola non ha mai veramente valorizzato e che, spesso, per i Comuni era considerata solo un costo. In realtà l’educatore è una figura centrale, in quanto può fungere da ponte tra scuola e territorio, favorendo lo sviluppo del progetto di vita delle persone con disabilità. Questo non solo rende il contesto scolastico più inclusivo, ma stimola anche gli apprendimenti e lo sviluppo delle competenze per la vita, beneficiando non solo gli studenti disabili, ma anche i compagni, i docenti di materia e di sostegno. In prospettiva, se riusciremo a lavorare su una maggiore inclusività delle comunità, la qualità della vita migliorerà per tutti i cittadini. L’investimento di questa sperimentazione va proprio in questa direzione».
Nella foto di apertura un momento della sperimentazione del modello dell’Educatore di plesso presso l’IC Camozzi città di Bergamo (Foto Comune Bergamo)
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