Famiglia

Scuole speciali? Non facciamone un tabù facciamole migliori

C’è chi le giudica una vergogna. E chi invece le benedice. E chi lancia idee nuove, perché i casi di disabilità gravi hanno bisogno di risposte

di Sara De Carli

Le scuole speciali e le classi differenziali, in teoria, non dovrebbero esistere. Nelle scuole medie sono state abolite nel 1977 con la legge 517, nelle elementari nel 1982 con la legge 270, mentre per le superiori la sentenza 215 della Corte di Cassazione, nel 1987, ha assicurato il diritto all?integrazione degli alunni con handicap, anche gravi. Però in Italia oggi ci sono 5mila bambini che ne frequentano una. «È vergognoso per il nostro Paese doverlo ricordare», dice Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish. «Purtroppo il Testo Unico del 1994 non ha cancellato la normativa sulle scuole speciali, sia statali sia paritarie, ed essendoci ancora articoli che le prevedono, le scuole sopravvivono».

Il «purtroppo» di Nocera diventa un «per fortuna» in bocca a Igor Salomone, pedagogista e padre di Luna, 9 anni, con la sindrome di Angelman, autore del libro Con occhi di padre. Luna frequenta l?unica scuola statale speciale di Milano, (l?altra è privata). Nella sua classe sono in 4, con 4 insegnanti. «Il diritto allo studio non è il diritto a frequentare la scuola, ma il diritto di ciascun bambino a imparare ciò che gli è necessario», spiega lapidario. L?esperienza di Salomone segna un buco nero nel sistema dell?integrazione scolastica: i bambini gravissimi, che nella scuola – così come è organizzata – non trovano risposte ai loro bisogni e diritti. «Un disabile oggi diventa tale solo dopo i 18 anni, prima è un bambino. Questo però paradossalmente lo priva di alcune attenzioni fondamentali, come il riconoscere la sua fatica a godere dei suoi diritti». Così il sogno di Salomone, per questo trentennale, sarebbe di riaprire il dibattito, lasciando da parte la discussione su ciò che è giusto e aprendo gli occhi su ciò che accade, «l?unico modo per arrivare a una riorganizzazione globale della scuola».

L?altra scuola speciale milanese è la scuola elementare della Fondazione don Gnocchi, in via Capecelatro. Anche qui si tratta del distaccamento di una scuola statale, la Lombardo Radice, inserito in un contesto riabilitativo a cura della don Gnocchi. Gli alunni sono 68, con altri 20 bambini in lista d?attesa. Ci sono cerebropatie congenite, paralisi cerebrali, pluridisabilità; in genere il rapporto con le insegnanti è di uno a uno. In due o tre casi è possibile far frequentare ai bambini qualche lezione nella scuola normale, e ogni tanto le maestre e i genitori portano qui i bambini, per incontrare questi compagni di scuola. «Dal punto di vista della socializzazione qui c?è una rinuncia», riconosce Elena Morselli, responsabile socioeducativa del centro, «ma le situazioni così gravi avrebbero comunque l?esonero dalla frequenza scolastica: noi offriamo una possibilità in più».

D?accordo Emanuela Maggioni, neuropsichiatria: «Questi ragazzi hanno bisogni speciali, che le strutture scolastiche esterne farebbero oggettivamente fatica a supportare. Poi è chiaro che se un nostro alunno ha le potenzialità per frequentare la scuola normale, con il sostegno, siamo i primi a indirizzarlo in quel senso».

Per Franco Bomprezzi è giunta l?ora di parlare di questo tabù. Perché dopo trent?anni forse ci siamo liberati delle contrapposizioni ideologiche e il principio della scuola di tutti si è indiscutibilmente affermato. «La scuola oggi per i disabili più gravi non garantisce un livello specifico di accompagnamento al diritto allo studio. Nessuno vuole le scuole speciali, che erano dei ghetti, ma è ora di pretendere delle scuole specializzate».

Qualche sperimentazione forse c?è già. Quando lo raggiungiamo al telefono, Carlo Hanau, docente di Programmazione e organizzazione dei servizi sociali e sanitari, è in partenza per Viterbo, dove terrà un corso sull?autismo a un gruppo di insegnanti. «Sono gli insegnanti di una scuola-polo, che hanno deciso di investire sulla formazione specifica per l?autismo. Non vuol dire che tutti i ragazzi autistici della provincia devono iscriversi a questa scuola: sono gli insegnanti specializzati che poi ?emigrano? ovunque i bambini si siano iscritti, garantendo una professionalità specifica e dei supporti tecnici e didattici mirati. Perché la vergogna vera è che in Italia ci siano insegnanti di sostegno di bambini ciechi che alla fine di un anno scolastico non hanno ancora imparato il Braille».


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