Formazione

Scuola: prospettive e speranze per l’anno che verrà

Nell'anno scolastico appena concluso oltre 34mila ragazzi hanno abbandonato la scuola. Non c'è il dato di quanti tra questi siano studenti con disabilità. Una voragine enorme che chiede un corrispondente dispiegamento forze per rinnovare la scuola nel suo insieme, per garantire pari opportunità a ciascuno, mettendolo nelle condizioni di poter essere e di poter fare. Non è forse questo il compito della scuola che vogliamo?

di Francesca Palmas

Ultimi giorni di scuola, tempo di bilanci. È stato un anno indubbiamente difficile e faticoso, che ha messo in luce alcune criticità che è bene tenere sotto osservazione per meglio gestirle nel prossimo futuro. Per gli alunni con disabilità tali difficoltà sono state particolarmente marcate, per evidenti motivi, primo fra tutti per il distanziamento sociale e la didattica a distanza, che hanno privato gli alunni e le alunne non solo dell’aspetto relazionale ma anche con l’esercizio concreto della comunicazione (tutta, non solo quella verbale, anzi!) fondamentale per l’acquisizione degli stessi apprendimenti. È vero che nella scuola dell’infanzia e in quella primaria si sono registrati meno problemi rispetto agli altri gradi scolastici, avendo garantito una frequenza in presenza più assidua e costante. Ed è vero anche che, nonostante le indicazioni ministeriali non tutte le scuole hanno attivato per tempo la didattica in presenza per piccoli gruppi per i loro alunni con disabilità, in alternativa ad una didattica a distanza irrealizzabile per molti (anche se ci sono state buone prassi persino in questa direzione, dalle quali si dovrà pur trarre qualche insegnamento sul fronte “nuove tecnologie per la didattica e l’istruzione domiciliare” quando indispensabili).

Cosa cambiare?

Sicuramente l’approccio agli insegnamenti: ripensare la didattica tradizionalmente intesa in favore di una strutturazione di ambienti di apprendimento per tutti (Universal Design for Learning) perché quello che è necessario per qualcuno può diventare utile per tutti, secondo una logica inclusiva davvero in cui non si guarda solo al particolare di uno o più percorsi, ma che tenga conto degli stili di apprendimento di ciascuno. In una classe gli alunni sono tutti diversi e quindi ogni attività didattica deve essere proposta in modi che possono essere adattati alle esigenze di ciascuno. La rigidità (proposta unica uguale per tutti) non è equa e non funziona. Creare una didattica flessibile significa prevedere fin dall'inizio tante forme diverse di fruizione-somministrazione e restituzione, lasciando lo studente (qualunque, non solo quello con disabilità o con BES) libero di scegliere quella più efficace per lui.

Lo sguardo dell’ICF sul funzionamento umano, finalmente inserito con decreto nei nuovi modelli di PEI utilizzabili proprio dal prossimo anno scolastico, ad esempio, ci aiuta a guardare la persona e la sua performance all’interno del contesto in cui si trova, superando lo stigma della patologia e finalmente rivoluzionando la prospettiva sulla persona: non cos’ha (o peggio cosa non ha) ma chi è. Abbiamo una occasione unica di cambiamento: non possiamo perderla; dobbiamo ragionare e dunque adeguare il sistema verso una corresponsabilità educativa di tutto il personale docente e non, solo così si eviteranno le deleghe e si costruirà maggiore inclusione, in modo “naturale” non imposto. Inoltre una vera applicazione di didattiche flessibili e ambienti di apprendimento adeguati richiedono una riduzione del numero di studenti per classe (basta con le classi pollaio!), dove la classe va pensata come una comunità di individui attivi e partecipi anche ai processi educativi che li riguardano. Se ci pensiamo, la pedagogia in fondo non deve forse garantire questo? Mettere al centro la persona e salvaguardare le unicità degli individui.

Quali fondi dal PNRR?

Rappresentano un’occasione imperdibile anche gli aiuti finanziari che derivano dal PNRR che per il settore Scuola investe (ancora insufficiente a mio avviso ma ci prendiamo tutto quello che arriva) per lo sviluppo delle competenze digitali dei docenti 0,80 miliardi di euro per
“favorire un approccio accessibile, inclusivo e intelligente all’educazione digitale”; altri 7,60 miliardi sono previsti per incrementare le abilità e competenze digitali e per una “conoscenza dei software per la scrittura, il calcolo e per l’impiego delle applicazioni che oramai contemplano tutti i campi disciplinari, dall’arte alla scienza”; 2,10 miliardi per implementare le scuole innovative e nuove aule didattiche e laboratori, mirando a trasformare gli “spazi scolastici in connected learning environments adattabili, flessibili e digitali, con laboratori tecnologicamente avanzati”. Questo va nella direzione su indicata anche per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali. Su questo è interessante ad esempio la proposta di movimenti studenteschi ad esempio UNIDAD per i quali Didattica a Distanza Integrata non solo è una realtà possibile ma è un’opzione che favorisce largamente il diritto allo studio: lo è stato per lo studente lavoratore, per lo studente genitore, per lo studente fuori sede che non può permettersi un appartamento nella città universitaria o che, per motivi personali, non può allontanarsi da casa, per il caregiver familiare.

Come prepararci per settembre?

Intanto assistiamo come ogni anno al valzer del reclutamento: docenti di sostegno specializzati che migrano nelle classi comuni, lasciando ancor più sguarnito un personale docente così fondamentale, di cui già il 30% (su 160 mila circa insegnanti di sostegno) è privo di titolo di specializzazione. Ancora non è stato emanato il Decreto sulla continuità educativa e didattica. Insomma, non sarà facile per molti studenti e studentesse con disabilità ripartire con lo zaino adeguatamente pronto, cioè capace di garantire pari opportunità a tutti gli studenti, indipendentemente dalla situazione nella quale si trovino. Per il momento è necessario accertarsi che tutti i documenti da presentare entro giugno siano stati adeguatamente presentati: il GLO finale, richieste dei sostegni necessari espresse e condivise in ciascun PEI, attivazione dei supporti organizzativi nella scuola etc.

Nel frattempo, anzi contestualmente direi, occorre agire per una riforma complessiva del sistema scuola, un luogo educativo per eccellenza che deve riappropriarsi pienamente e in modo più dinamico di questo ruolo. Con la pandemia abbiamo perso per strada tanti alunni e alunne più fragili, non in grado di fronteggiare senza adeguati supporti e sostegni il grave peso del distanziamento (sociale, familiare, delle Istituzioni), il dato sulla dispersione scolastica registrato infatti è aumentato pericolosamente, un grave prezzo da pagare per tutta la società. Un’indagine IPSOS per conto di Save the Children ha evidenziato per esempio che, nel 28% delle classi superiori ogni studente aveva avvistato l’addio di almeno un compagno. Qui in totale parliamo di oltre 34mila ragazzi in fuga. Non è ancora ufficiale, tra questi, il dato sugli studenti con disabilità. Una voragine enorme che richiede dunque un altrettanto enorme dispiegamento di supporti, energie e forze per rinnovare tutta la scuola nel suo insieme. È una sfida aperta su più direzioni, ma l’obiettivo è lo stesso: garantire pari opportunità salvaguardando ciascuno, mettendolo nelle condizioni di poter essere e di poter fare. Ma, del resto, non è forse questo il compito della scuola che vogliamo?

*Francesca Palmas è responsabile Scuola di ABC Italia, membro dell'Osservatorio sull’Inclusione Scolastica del Ministero dell'Istruzione e docente dell'Università di Torino

Foto di Marina da Pexels

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