Formazione

Scuola, per generare accountability servono nuovi interlocutori

Il contributo di Luca Solesin, Senior Change Manager ad Ashoka Italia, che reagisce all'analisi di Giovanni Biondi, Presidente dell’INDIRE che sul sito di Vita aveva affrontato i problemi della scuola italiana toccando il tema delle disuguaglianze sociali. «Identifica nell’accountability una soluzione ma denuncia la mancanza di strumenti adeguati. È se la risposta fosse dove non ci aspettiamo?»

di Luca Solesin

Le riflessioni del presidente di INDIRE, Giovanni Biondi, ospitate su Vita.it il 15 febbraio si concludono con un richiamo all’accountability e la denuncia di mancanza di strumenti:

«Continuano però a non esserci strumenti per intervenire […] Lo sviluppo dell’autonomia scolastica consentirebbe per lo meno la così detta accountability e la valutazione esterna delle scuole, sarebbe la prima tappa anche per costruire una carriera degli insegnanti non basata solo sull’anzianità ma tutto è rimasto sospeso», scriveva.

Poniamo il caso che questi strumenti, con un colpo di bacchetta magica, appaiano improvvisamente nella nostra borsa degli attrezzi (ad esempio valutazione esterna, formazione di qualità obbligatoria, carriera degli insegnanti, assunzione del personale basata sui bisogni dell’istituto e degli studenti nei tempi corretti…). Sono sicuramente strumenti utili e necessari, ma non sufficienti per generare l’accountability che ci può permettere di ridurre le disuguaglianze sociali.

È difficile innescare accountability solo con degli strumenti di sistema, specialmente nella scuola italiana con le sue bizzarre geografie. Il grande lavoro da svolgere insieme a quello di sistema è profondamente culturale. Per costruire accountability abbiamo bisogno di cambiare il modo con cui osserviamo le cose, in questo caso i processi. E come cambiamo il modo di intendere il nostro ruolo all’interno di essi. Come percepisce il proprio ruolo un insegnante oggi? (Come gestiamo 850 mila risposte diverse a questa domanda?)

Uno dei modi per farlo che abbiamo appreso dagli innovatori sociali è quello di partire provando a cambiare le aspettative su determinati processi. Se cambiano le aspettative diventa dunque necessario agire sulle promesse: i due primi pilastri del ciclo dell’accountability. L’Azienda scuola, per riprendere l’efficace metafora del Presidente, non può più limitarsi a promettere ai suoi “shareholder” e clienti una formazione fordista, con scarsi risultati che non incontrano le aspettative dei differenti portatori di interessi. Dovrà necessariamente rivedere i processi, se vuole cambiare i risultati.

Ma come fare a cambiare le aspettative? Una delle opzioni è quella di introdurre nuovi interlocutori (non per forza dei valutatori). Fra questi prenderei in considerazione almeno tre interlocutori non tradizionali. In primo luogo, il terzo settore e il privato sociale, troppo spesso percepiti come ancillari ed erogatori di servizi subordinati, marginali e soltanto legati ad aspetti emergenziali. In realtà loro possono essere preziosi alleati educativi a tutti gli effetti, sparring partner di innovazione, compagni di un percorso di cambiamento attento ai bisogni del territorio. Pensiamo, in tal senso, al ruolo giocato dal Fondo per il contrasto delle povertà educative nell’emersione della comunità educante come “ambiente per l’apprendimento” sia formale che informale. In secondo luogo, penso agli studenti e le studentesse, perché la rilevanza dell’educazione passa essenzialmente da loro e dai loro immaginari di futuro. Ed instaurare un dialogo intergenerazionale sull’educazione non è una cosa semplice e tendenzialmente evitiamo abilmente di farlo. Infine, penso a degli interlocutori interni come i docenti , “visionari”, quelle piccole esperienze marginali sede spesso di grandi innovazioni (vedi il sapiente lavoro con le Piccole Scuole proprio di INDIRE).

La riflessione che ha indicato il presidente è pienamente condivisibile e gli strumenti che ha sottolineato sono senza dubbio necessari e urgenti. Per generare accountability e cambiare la scuola tali strumenti devono essere accompagnati da un profondo lavoro culturale che passa anche dall’ascolto coraggioso di nuovi interlocutori.


*Luca Solesin, Senior Change Manager ad Ashoka Italia

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