Formazione

Scuola: la polemica sui dati non cancella le disuguaglianze

Uno studente su due non sa comprendere un testo: per tutto il weekend sui social si è fatto fact-checking rispetto all'allarme lanciato da Save the Children. La realtà ha più sfumature di quanto un titolo possa sintetizzare, ma resta il fatto che siamo un paese con troppe disuguaglianze tra i nostri studenti. Le opportunità dipendono troppo da dove un ragazzo nasce e dal livello socioeconomico della sua famiglia. Una trappola da far saltare. Intervista a Antonella Inverno, responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza di Save the Children

di Sara De Carli

Davvero in Italia il 51% della popolazione di quindicenni è incapace di capire un testo scritto? No. Davvero però possiamo liquidare il tutto come una “bufala”? Nemmeno. Per tutto il weekend sui social ha tenuto banco la polemica sull’errore del presidente di Save The Children Claudio Tesauro che, lanciando l’evento “IMPOSSIBILE 2022”, ha dichiarato che: «La dispersione scolastica implicita – una parola difficile ma vuol dire una cosa semplice: l’incapacità per un ragazzo di leggere un testo scritto e di capirlo, o di fare un semplice esercizio di matematica – raggiunge oggi quasi il 50% degli adolescenti quindicenni».

Il registro dell’ironia si è sprecato: giornalisti e ricercatori sono i primi a non capire il testo scritto e i dati delle ricerche, scrivendo articoli sciatti e scivolando in semplificazioni grossolane. Il fact-checking è stato fatto, assodando che sì, c’è un primo errore, non si tratta dei quindicenni ma degli studenti al termine della quinta superiore (dati Invalsi 2021) e che sì, ce anche un secondo errore, in quanto il 51% si riferisce agli studenti in procinto di sostenere l’esame di maturità che non raggiunge la soglia accettabile in matematica, non in italiano. Per l’italiano quelli che non raggiungono la soglia accettabile si fermano, si fa per dire, al 44%.

I dati diffusi da Save the Children il 19 maggio dicono infatti correttamente che in Italia all’esito delle prove Invalsi del 2021 il mancato raggiungimento del livello accettabile di competenze riguarda quasi la metà degli studenti (44% in italiano, 51% in matematica) alla fine della scuola superiore. In alcune sintesi, così, i due ambiti sono stati associati e il dato a cui si è fatto riferimento è stato quello più alto. E sì, d’accordo, dobbiamo anche intenderci su cosa significhi mancato raggiungimento del livello accettabile di competenze, che non è non comprendere la lettera del testo: piuttosto è il non riuscire a ricostruire il significato di un “intero testo o di sue parti, anche molto ricche di informazioni”, a cogliere “il modo in cui il testo è organizzato e strutturato” e “il senso di un testo al di là del suo significato letterale”. In pratica significa avere livelli di competenze che corrispondono agli obiettivi formativi previsti per gli studenti di terza media, non per quelli che sono giunti alla fine delle superiori.

Detto ciò – peraltro arriveremmo palesemente troppo tardi – davvero possiamo liquidare il tutto all’esaltazione goduriosa del bacchettare chi ci richiama alla responsabilità condivisa del farci carico di preparare i nostri ragazzi ad essere attori del proprio tempo? Ma soprattutto, davvero come hanno scritto autorevoli intellettuali «la lagna della crisi è probabilmente il modo migliore per lasciare le cose come sono, addossando alla scuola anche responsabilità che andrebbero condivise con il resto delle politiche (sociali, economiche…), facendo in modo che il vuoto così creato venga riempito da volenterosi privati, con la conseguente riduzione del diritto all’istruzione a una lotteria assistenzialistica»? Ne abbiamo parlato con Antonella Inverno, Responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza di Save the Children.

La precisione dei numeri e la corretta citazione delle fonti sono ovviamente importantissime, ma sostanzialmente la situazione su cui si voleva accendere un faro qual è?
C’è stata una dichiarazione ad un evento pubblico, che per forza di cose sintetizza. Ma questo non cambia la triste situazione. Quello che a noi interessa sottolineare era un discorso relativo alla fragilità di questi studenti che restano sotto i livelli di competenze 1 e 2 ed escono dalle scuole con un livello di comprensione del testo da terza media, senza quindi arrivare a comprendere un testo ricco di informazioni al di là del suo senso letterale. Peraltro i dati Invalsi 2021 – molto peggiorati rispetto alla rilevazione precedente del 2019 – ci dicono che il mancato raggiungimento delle competenze adeguate in Italiano, che come media nazionale è al 44%, in realtà è superiore al 50% degli adolescenti in ben 7 regioni: Abruzzo (50,2%), Basilicata (51,4%), Sardegna (52,8%), Sicilia (57,2%), Puglia (59,3%), Calabria (63,5%), Campania (64,2%). Preoccupano quindi le disuguaglianze, che emergono con sempre maggior forza. Disuguaglianze non solo tra i territori ma anche fra i livelli socioeconomici.

Cominciamo dalle disuguaglianze territoriali.
Questi dati dicono per l’ennesima volta che ci sono territori in cui bisogna intervenire prioritariamente, perchè non basta il “docente eroe”. Save the Children fa tantissimi interventi, siamo al fianco degli insegnanti tutti i giorni, abbiamo un bellissimo movimento di insegnanti con “Fuoriclasse in Movimento”… e diciamo che le scuole e gli insegnanti dovrebbero essere supportati di più. Non perché la scuola da sola non basta o non sappia fare il proprio, ma perché sappiamo benissimo che gli investimenti sulla scuola hanno subito tagli forti in passato e ancor oggi si stenta a investire nell'istruzione. Per noi citare i dati Invalsi significa ricordare che abbiamo un problema grandissimo di disuguaglianza, e su questo sfido qualsiasi studioso a dire che non è vero. I dati Invalsi – che per quanto migliorabili sono l’unica rilevazione che abbiamo a livello nazionale, che ci dice ogni anno la situazione scuola per scuola – ci offre un chiaro quadro delle disuguaglianze. Spesso in questi territori la scuola è davvero l’unica presenza, l’unico presidio dello Stato e non c’è altra opportunità educativa al di fuori della scuola. Abbiamo fatto un esercizio per capire bene le diseguaglianze territoriali e siccome Invalsi registra anche il livello socioeconomico delle famiglie, abbiamo visto che tra le 5 province in cui il livello socioeconomico è più basso e le 5 con livello socioeconomico più alto, ci sono enormi differenze nelle opportunità educative offerte fin dalla prima infanzia.


Asili nido, mense, tempo pieno… bisognerebbe investire in questi servizi che sono ancora considerati a domanda individuale ma sono essenziali. I dati parlano da soli. Se si va a rivedere il nostro Atlante dell’infanzia a rischio, pubblicato a novembre, si trova un grafico interessante sugli esiti Invalsi che fa vedere come nella stessa città – ne abbiamo analizzate alcune – sia evidente la disparità enorme tra i quartieri co livelli socioeconomici più svantaggiati e altri. Un ragazzo che viene da un contesto deprivato oggi ha minori chance di affermarsi come persona, tout court, non solo nello studio. Non si tratta di “voti” ma dell’opportunità o meno di far fiorire i propri talenti, di poter contribuire allo sviluppo del paese. Questa è un'emergenza educativa. Non vogliamo usare toni allarmistici, ma il rischio forte – che sin dal Covid abbiamo percepito – è questo. Se tutti, o buona parte, degli studenti con livello socioeconomico basso raggiungono risultati più bassi… abbiamo un problema. Durante l’evento “IMPOSSIBILE” l’Istat ha annunciato l’avvio di un gruppo di lavoro che coinvolga esperti, istituzioni competenti e le organizzazioni della società civile per elaborare indicatori di povertà educativa funzionali e comparabili nel tempo e nello spazio, declinati a livello territoriale. Un indicatore che misuri la mancanza di opportunità dei vari territori. Si arriva così a dare attuazione ad uno strumento previsto dalla legge di stabilità 2018. Questo annuncio è molto importante.

Non trova però condivisibile il richiamo – lo faceva già nei mesi scorsi anche Recalcati, mettendo in guardia dall’enfasi eccessiva su ciò che la “Generazione Covid” e la “Generazione DAD”, sia stata penalizzata e sul tema dei ristori educativi – a non eccedere in una narrativa negativa che rischia di consolidare nei nostri ragazzi l’autopercezione di essere vittime, cose che forse favorirebbe la deresponsabilizzazione?
È chiaro che i ragazzi hanno una grande resilienza e l’hanno dimostrata. Hanno risorse. Ma vanno anche messi nelle condizioni di poterle sviluppare. Il rischio che vedo è che chi è supportato da un contesto che lo aiuta, riesce a superare tutte le crisi, compreso l’isolamento mentre chi vive in territori deprivati – territori non solo geografici, possono essere anche ragazzi che vivono nello stesso quartiere ma vengono da famiglie con una diversa capacità di offrire loro opportunità – rischiano di non farcela. Se lei guarda i dati BES che l’Istat ha presentato pochi giorni fa, l’unica fascia di età in cui continua a peggiorare il grado di soddisfazione per la propria vita è quella adolescenziale. Nel 2021 tutte le fasce d’età hanno dichiarato di essere più soddisfatti della propria vita rispetto al 2020, gli adolescenti no. Possiamo girarci intorno quanto ci pare, arrovellarci sulle virgole, ma non non possiamo chiudere gli occhi dinanzi a questo. Per questo è ancor di più necessaria un'alleanza fra tutti quelli che lavorano con i giovani.

Il non profit in altre parole non gioisce dinanzi ai buchi eventuali della scuola pubblica, anzi… Però questa visione un po’ serpeggia anche rispetto al tema delle comunità educanti, come se ci fosse una posizione “concorrenziale”.
Nel dare i dati di cui stiamo parlando, non abbiamo mai assolutamente addossato la responsabilità alla scuola. Anzi, quello che noi vogliamo è proprio non lasciare da sola la scuola. Non può che essere così e non perché nella scuola devono entrare i privati o il non profit ma perché tutta la società deve investire nella scuola. Nel Pnrr per esempio ci sono investimenti, ma la preoccupazione è che gli investimenti non vadano dove c’è bisogno. Questa alleanza ampia – che possiamo chiamare comunità educante e in cui non ci sono solo scuola e Terzo settore, ma anche gli enti locali e le istituzioni culturali, ad esempio i musei – in realtà stenta a decollare. Ci sono alcune alleanze più che solide e territori in cui non c’è nulla. Dal mio punto di vista è strano pensare che la scuola possa vivere una richiesta di supporto ulteriore come un’invasione di campo.

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