Cultura

Scuola: Integrazione contro disinformazione

Niente classe speciale per i ragazzi di famiglia islamica. Il caso di Milano sul prossimo numero di VITA in edicola da domani, che spiega cosa è successo davvero

di Giuseppe Frangi

Sul numero di VITA in edicola da domani l’approfondimento. Leggi il sommario integrale del numero. Mentre per gli abbonati a VITA non profit magazine, è già online!

Questa volta la distanza tra l?informazione e la realtà abbiamo potuto proprio toccarla con mano. La scuola della moschea milanese di via Quaranta, che ha scatenato un caso di cui hanno parlato tutti i giornali e le tv, sta dall?altra parte della nostra strada: i bambini che schiamazzano all?uscita della scuola sono un refrain delle nostre giornate, passate a inseguire e lavorare le notizie in redazione. Ma per quanto siano solo sull?altro marciapiede, la sensazione vera è che siano irraggiungibili. Un muro invisibile li tiene distanti, li separa dal mondo che hanno attorno. Purtroppo più che una sensazione, è una realtà. Questi bambini frequentano una scuola che per l?Italia semplicemente non c?è. Per il nostro Paese neppure loro esistono. E quando arrivano alla terza media l?ignoto si apre davanti a loro. O tornano al loro paese (sono quasi tutti egiziani) o? Ci sono esperti e operatori che in questi anni hanno lavorato per eliminare l?incognita di quei tre puntini. Per dare un?alternativa a quel vuoto. Hanno lavorato sotto traccia, stabilendo una relazione con i responsabili della scuola e cercando una soluzione al problema. Poi un preside intelligente e pieno di spirito di iniziativa ha proposto, sperimentalmente, di creare una classe ad hoc, con insegnanti italiani, per provare ad inserire i ragazzi usciti dalla scuola di via Quaranta. Apriti cielo! Fiumi di retorica e di indignazione hanno costretto anche chi aveva appoggiato l?idea, come il direttore dell?ufficio scolastico regionale, a fare marcia indietro. Tutti i particolari di questa vicenda li troverete ricostruiti per filo e per segno nell?inchiesta realizzata da Benedetta Verrini e Antonietta Nembri su Vita, compreso il particolare clamoroso che un esperimento del tutto simile era stato realizzato, con successo incontestato, lo scorso anno in un?altra scuola milanese.

Che cosa distingue allora il tentativo reso possibile all?Istituto Gadda rispetto a quello bloccato tra polemiche feroci dell?Istituto Agnesi? Semplice: l?intervento dell?informazione. Là i media avevano taciuto, ignari della vicenda. Qui invece sono saltati sulla notizia. Non preoccupandosi della realtà. Ma è mai possibile sentire ad ogni pié sospinto sondaggi e interviste del tipo ?Lei è d?accordo sulla possibilità di fare una scuola speciale per ragazzi islamici??. E? ovvio che tutti rispondano no, nell?ignoranza che quella scuola esiste già ed è clandestina, e vi sono chiusi 400 ragazzi che non hanno nessuna opportunità di sapere qualcosa di noi e del nostro paese, che non hanno alcuna opportunità di frequentare noi e i nostri figli, neppure di striscio. Dobbiamo trarre la lezione che una società senza informazione funziona meglio di una in cui l?informazione scorazzi a tutto campo? Non sia mai. Eppure ci si dovrà pur chiedere a che serve un?informazione così schiava degli apriori (suoi o imposti) e dell?astrazione da non saper più guardare in faccia la realtà. Ma quando lo schema prevale sulle cose, l?informazione c?entra ancora o non siamo piuttosto entrati nell?orizzonte della propaganda, dell?inquinamento delle coscienze? In via Quaranta, nella scuola che s?affaccia dall?altra strada è accaduto questo. La ridda di letture e di interpretazioni prescindeva dalla realtà in gioco. Non considerava quei tre puntini di una mancata alternativa, che tengono drammaticamente in sospeso il destino di centinaia di bambini (anzi, ormai ragazzi).

Così la cattiva informazione ha innalzato un muro, laddove operatori intelligenti e pazienti avevano tessuto la trama di una rete e di una possibile integrazione. Noi ci chiediamo che cosa possa accadere ora. Probabilmente questa è la domanda che dovrebbe sempre stare al cuore di chi lavora attorno alle notizie.

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