Il ritorno in classe

Scuola: formare i docenti sulla sclerosi multipla

Per una comunità scolastica solidale e inclusiva, bisogna formare e sensibilizzare i docenti e puntare a un'organizzazione in grado di adattarsi ai bisogni dei 14mila italiani under 18 che convivono con la malattia. Ecco l'appello di Aism

di Redazione

Con l’inizio del nuovo anno scolastico, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla Aism rivolge un appello affinché le scuole pongano maggiore attenzione ai bisogni dei ragazzi con sclerosi multipla. L’associazione, inoltre, proprio per spiegare ai bambini, alle famiglie e agli insegnanti e creare così una comunità scolastica consapevole e partecipe, lancia il progetto «Sono molto altro», che sarà presentato a Torino, il 28 settembre in un grande evento nazionale dedicato alle famiglie.

Sono 14mila i giovani con meno di 18 anni che hanno una diagnosi di sclerosi multipla, ma potrebbero essere molti quelli che già convivono con i sintomi e che non sanno ancora di averla. Il percorso diagnostico in età pediatrica è infatti ancora frammentato e spesso rallentato dalla scarsa conoscenza della malattia, anche nella scuola.

«Spesso si pensa che la sclerosi multipla sia una malattia che riguarda solo gli adulti, ma non è così. L’esordio della sclerosi multipla può avvenire anche in età pediatrica, entro i 18 anni», spiega Francesco Vacca, presidente nazionale di Aism. «Per questi giovani, la scuola rappresenta una delle esperienze più importanti, ma purtroppo partono già con uno svantaggio. È fondamentale che sin dai primi giorni, il loro percorso scolastico sia adeguatamente supportato, poiché influisce direttamente sul loro sviluppo personale».

Secondo i dati pubblicati sul Barometro della SM 2024, il 6,5% delle persone con la malattia ha manifestato i primi sintomi quando ancora era a scuola, e il 70% di loro riporta un impatto negativo sul percorso di studi: oltre il 20% ha perso anni di scuola o addirittura la ha lasciata del tutto.

Gli studenti con sclerosi multipla raramente hanno livelli di disabilità elevati, ma hanno spesso sintomi invisibili come fatica, disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria di lavoro, o anche motori legati all’equilibrio e alla coordinazione che possono compromettere sia il rendimento scolastico e sportivo che la partecipazione e la socializzazione con i coetanei. In un contesto non adeguatamente informato il rischio è quello di essere stigmatizzati come studenti svogliati, pigri, distratti o isolati.

Ciò di cui hanno veramente bisogno è che gli insegnanti e i dirigenti scolastici siano adeguatamente formati e sensibilizzati sulla loro condizione

Francesco Vacca

Da un lato è fondamentale che, insieme a quelli sanitari, anche gli operatori scolastici sappiano riconoscere i sintomi sospetti e raccomandino alle famiglie accertamenti neurologici tempestivi quando osservano difficoltà di questo tipo. Dall’altro lato, c’è da saper gestire l’impatto psicologico sugli studenti e le loro famiglie.

«Non sempre questi studenti necessitano di insegnanti di sostegno», continua Vacca. «Ciò di cui hanno veramente bisogno è che gli insegnanti e i dirigenti scolastici siano adeguatamente formati e sensibilizzati sulla loro condizione. Solo così si potranno garantire le misure necessarie affinché ogni studente possa vivere serenamente la propria esperienza scolastica. È essenziale, inoltre, una collaborazione attiva tra scuole e famiglie per costruire una comunità solidale e inclusiva».

Come spiega Aism in una nota, le soluzioni possono includere rimodulazione e dilazione di compiti e presenze, l’adozione di ausili, il ricorso alla didattica a distanza quando necessario, anche a partire dall’esperienza maturata durante la pandemia. È importante prevedere misure che permettano di recuperare le lezioni perdute a causa di ricadute o controlli medici e di rimettersi in pari con i compagni. Le politiche di inclusione esistenti, e più in generale il sistema scolastico, sembrano ancora poco capaci di adattarsi ai bisogni di questi ragazzi. Ne consegue che, paradossalmente in un’età in cui i sintomi sono ancora relativamente lievi, questi rischino di accumulare uno svantaggio che li renderà meno preparati dei loro coetanei ad affrontare la vita adulta.

Foto di note thanun su Unsplash

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