Formazione
Scuola e disabili, il no delle private
Dossier dell'Agenzia Dire e Redattore sociale, le prime reazioni dal non profit
di Redazione
‘Signora, ma perché non iscrive suo figlio in una scuola statale? Lì sono organizzati meglio. Noi i ragazzi disabili non li prendiamo, non sapremmo come gestirli, non abbiamo insegnanti di sostegno’. Iscrivere un bambino alla scuola paritaria può diventare un percorso a ostacoli per un padre o una madre se quel figlio ha una disabilità. Non bastano le difficoltà quotidiane e il pensiero assillante di quel giorno in cui mamma e papà non ci saranno più. Ci si mettono pure le discriminazioni in ambito scolastico. Eppure la legge sulla parità del 2000 prevede che le scuole che ottengono il sì del ministero debbano accogliere tutti, disabili compresi. Tanto che ogni anno vengono stanziati dei fondi per il sostegno. Il concetto lo ha ribadito anche il tribunale di Roma nel 2002 e nel 2008 il ministro Mariastella Gelmini ha rincarato la dose con un decreto in cui si dice che si ottiene la parità solo se si rispettano le norme di inserimento degli alunni disabili.
Fin qui la legge, ma nella realtà regna il fai-da-te. Una giungla in cui l’agenzia Dire ha deciso di avventurarsi. Telefono alla mano, abbiamo contattato numerose scuole private paritarie, scoprendo che molte volte il bambino disabile riceve un ‘no’. Ma anche quando scatta il ‘sì’ arrivano i problemi sul sostegno. E su questo punto la confusione è totale. C’è chi dice ‘noi non ci attiviamo neanche per averlo’, scaricando la colpa sul ministero ‘che non garantisce i rimborsi, che stanzia pochi fondi’, chi chiede rette aggiuntive per pagare l’insegnante in più, chi contributi parziali.
Qualche esempio. Chiamiamo un noto istituto privato romano, di quelli che pubblicizzano la loro attività a forza di maxi cartelloni. Ci risponde una cortese segretaria a cui chiediamo di iscrivere alla prima elementare un bimbo affetto dalla sindrome di down. ‘Non credo ci siano problemi- risponde la donna in un primo momento- chiedo alla direttrice’. Poi il verdetto cambia: ‘Non abbiamo l’insegnante di sostegno in questo momento. Può provare nelle scuole statatali dove il sostegno c’è sempre. Le iscrizioni sono ancora aperte’. Il no è condito da un ‘mi dispiace’ che si ripete ad ogni diniego, con, appunto, il consiglio di mandarli alla statale, i bambini con disabilità, perché lì, si sa, sono ‘più organizzati’. Di fatto, uno scarica barile. Che penalizza le scuole pubbliche e, soprattutto, le famiglie, che non hanno libertà di scelta su dove far studiare i figli.
Cambiamo ciclo scolastico, ci riproviamo con le superiori. Di nuovo scegliamo un istituto paritario romano dei più pubblicizzati. Anche qui scatta il no al ragazzo down: ‘Non sappiamo come gestirli- risponde un uomo al centralino- non abbiamo l’obbligo di prenderli, non ricadiamo nella legge della scuola pubblica. Non prendiamo ragazzi con disabilità’.
Il problema è il sostegno, domandiamo? ‘No, è che non li prendiamo proprio perché ci si viene a creare un problema. La cosa migliore, signora, è la statale, che è più organizzata di noi’. Ci risiamo. In un istituto cattolico gestito da una grande fondazione (la struttura è a Roma e ha laboratori, centri sportivi, teatro, piscina) si aprono le porte per il nostro bambino che deve andare in prima, ma, ci dicono dalla segreteria, ‘noi siamo una scuola paritaria e vi dovete prendere l’onere del sostegno. In attesa che il ministero vi riconosca le ore e vi rimborsi, ma chissà quando avverrà’. Scoraggiarsi è d’obbligo.
In un’altra scuola cattolica blasonata della Capitale ci dicono che ‘non c’è un sì o un no a priori, certo poi bisogna vedere se si concretizzerà l’iscrizione’. Ci lasciano nel dubbio. Istituto di suore a Milano: il sostegno non c’è, il bambino non trova spazio. ‘Il fatto- ci dicono- è che il ministero paga solo un ‘quid’…’. Colpa di viale Trastevere, insomma, se un bambino non può scegliere la scuola che vuole. In un istituto di Verona ci dicono che anticipano loro la ‘retta integrativa per la disabilità’. Poi la famiglia chiederà un sostegno alla Regione che andrà girato all’istituto. ‘E se non ce lo danno?’. ‘Non è mai capitato, ma certo il rimborso si potrebbe fare in molte rate’. Si parla, infatti, dello stipendio di un docente per un anno. E anche al Sud la musica non cambia: a Palermo ci invitano a portare il nostro bimbo alla statale, ‘da insegnante- ci dice una operatrice- le dico che è meglio’.
Sin qui l’inchiesta dell’agenzia Dires – Redattore Sociale
IL ‘NO’ E’ FUORILEGGE: LA NORMA
I dirigenti delle scuole paritarie che non accettano alunni con disabilità agiscono in contrasto con la legislazione vigente e corrono un grosso rischio: la perdita per la loro scuola dello status di ‘paritaria’. A prevederlo è un decreto ministeriale (il n. 83) firmato dal ministro Mariastella Gelmini il 10 ottobre 2008: un documento che partendo dalla legge 62/2000 sulla parità scolastica e il diritto allo studio, contiene le Linee guida che regolano le modalità per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento. Un testo chiaro, che dovrebbe essere ben conosciuto anche da quelle scuole che in barba alla legalità negano invece (implicitamente o esplicitamente) un diritto fondamentale del cittadino.
Le Linee guida firmate da Gelmini ricordano che ‘il riconoscimento della parità scolastica inserisce la scuola paritaria nel sistema nazionale di istruzione e garantisce l’equiparazione dei diritti e dei doveri degli studenti’, impegnando ‘le scuole paritarie a contribuire alla realizzazione delle finalità di istruzione ed educazione che la Costituzione assegna alla scuola’. Ivi compreso, evidentemente, il principio dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Il testo prevede che al momento in cui una scuola chiede il riconoscimento della parità, il gestore o il rappresentante legale deve dichiarare sotto la proprio responsabilità ‘l’impegno ad accogliere l’iscrizione alla scuola di chiunque ne accetti il progetto educativo, sia in possesso di un titolo di studio valido per l’iscrizione alla classe che intende frequentare e non abbia un’età inferiore a quella prevista dai vigenti ordinamenti scolastici’. In particolare, il gestore deve dichiarare anche ‘l’impegno ad applicare le norme vigenti in materia di inserimento di studenti con disabilità, con difficoltà specifiche di apprendimento o in condizioni di svantaggio’. Alla domanda di riconoscimento – specifica il documento – deve essere allegata anche la documentazione che attesta il numero degli alunni iscritti (o previsti) in ciascuna classe e sezione, ‘inclusi gli alunni con disabilità, con relativa documentazione specifica’.
A procedere alla verifica della completezza e della regolarità delle dichiarazioni e dei documenti prodotti dalla scuola è l’Ufficio scolastico regionale. A questo stesso ufficio, una volta ottenuto lo status di ‘paritaria’, i gestori delle scuole dovranno dichiarare di anno in anno ‘la permanenza del possesso dei requisiti richiesti’. Se però l’Ufficio scolastico regionale accerta a seguito di una sua verifica ispettiva che esiste una ‘carente rispondenza delle situazioni di fatto ai requisiti di legge’ – se cioè viene dimostrato che le norme in materia di inserimento scolastico non vengono rispettate – la scuola viene invitata a ritornare nella legalità entro il termine di 30 giorni. Se ciò non accade, ‘l’Ufficio scolastico regionale provvede alla revoca della parità’, che ha sempre effetto dall’inizio dell’anno scolastico successivo a quello in cui è disposta. Per la revoca dello status di scuola paritaria è sufficiente la ‘perdita anche di uno solo dei requisiti’ previsti dalla normativa. (Dires – Redattore Sociale)
LE PRIME REAZIONI DAL MONDO DELLE ASSOCIAZIONI
“Le scuole sono obbligate ad accettare l’iscrizione degli alunni con disabilità, pena la perdita della parità ottenuta”. E’ questa la posizione di Salvatore Nocera, vicepresidente Fish e responsabile dell’Osservatorio della Fish sull’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap. Mentre l’Anffas precisa: “Noi consigliamo sempre di iscrivere i ragazzi disabili nelle scuole pubbliche”. A parlare è Lilia Manganaro, consigliere nazionale dell’Associazione Famiglie di disabili intellettivi e relazionali con delaga all’integrazione scolastica, e responsabile dello sportello nazionale Anffas sulla scuola. Ma cosa devono fare quei genitori che si vedono negare l’iscrizione dei propri figli da una scuola paritaria? “Possono, anzi, devono denunciarli alla Procura della Repubblica. Le scuole paritarie sono tenute ad accettarli”. Sul perché, poi, alcuni genitori – una minoranza, precisa l’Anffas– cerchino una soluzione presso le scuole paritarie, Lilia Manganaro non ha dubbi: “ Spesso la scuola privata è quella più vicino a casa, e alla fine molti genitori sono disposti a fare un ulteriore sacrificio economico per avere questa comodità”.
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