Formazione

Scuola del fare o scuola per la vita? Oltre la polarizzazione

Tempo di orientamento e di scelta della scuola superiore, in un mondo in trasformazione e in un 2023 che la Commissione Europea ha proclamato "Anno europeo delle competenze". Qui da noi invece il dibattito continua a girare attorno alla difesa della separatezza fra una scuola del fare, che prepari al lavoro e una scuola dell'essere, che prepari alla vita. «Ma una scuola che sosti in questa polarizzazione non serve a nessuno», dice Miriam Cresta, ceo di Junior Achievement Italia

di Miriam Cresta

Il dibattito su quale sia il compito primario del sistema d’istruzione del nostro Paese è sempre più polarizzato tra chi auspica una cultura pedagogica aziendalistica, la scuola del “fare” e chi in alternativa considera l’esperienza scolastica come una palestra per affrontare la vita adulta, privilegiando la dimensione culturale, lo studio approfondito e individuale, le conoscenze astratte.

Qualunque sia l’approccio, il nostro sistema scolastico sta attraversando una profonda crisi anche rispetto ai risultati che avrebbe dovuto garantire su questi due fronti. Da un lato, dobbiamo constatare l’attuale mismatch tra domanda e offerta sul fronte del mercato del lavoro, dall’altro le performance di base dei nostri studenti e studentesse che, messe a confronto con quelle del resto d’Europa, risultano inferiori.

In un paese democratico, la scuola dovrebbe rendere i più giovani in grado di esercitare da adulti i propri diritti e doveri alla base dell’ordinamento e del buon funzionamento della comunità nazionale. Esercitare la propria cittadinanza consapevolmente vuol dire realizzare la democrazia. Se questa è la funzione primaria di un sistema scolastico in un paese democratico, è chiaro che non sono sufficienti le 33 ore di educazione civica introdotte nel 2019 per ottenerne un successo pieno. Così come non sono sufficienti i percorsi di PCTO per indirizzare i futuri lavoratori alle professioni di domani.

La verità è che la scuola italiana se continua a “sostare” in questa polarizzazione finirà per non essere la scuola contemporanea di cui tutti abbiamo bisogno; in primis i bambini, gli adolescenti, i giovani che la frequentano oggi. L’esperienza educativa dovrebbe essere un’avventura capace di restituire un senso pieno di cittadinanza e di possibilità di migliorare la propria vita adulta indipendentemente dal punto da cui si è partiti quando si è fatto il primo ingresso in un’istituzione scolastica. Se la prima esperienza formativa vissuta è positiva, da adulti quando la scuola non sarà più “obbligatoria” si continuerà a riconoscere un ruolo importante alla formazione propria e degli altri, quale leva per migliorare i propri talenti, competenze, skills, comportamenti e comunque si voglia chiamare un percorso che privilegia lo sviluppo delle potenzialità di ogni persona che lo frequenta.

Quando Nelson Mandela dichiarò che «l’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo» partì da questa constatazione, che è nella sua semplicità straordinariamente rivoluzionaria. Penso ai tanti volontari d’azienda o liberi professionisti che affiancano ogni giorno gli insegnanti e i maestri, mettendo a disposizione dei giovani nelle scuole tempo ed esperienza personale senza aspettative di un ritorno immediato, ricevendo come riscontro gratitudine e soddisfazione per aver cambiato la loro prospettiva e aumentato (senza l’AI) la consapevolezza delle loro capacità. Penso a quanto questa relazione umana possa attenuare disagi e solitudine più frequenti tra i più giovani in questo periodo post pandemico.

La scuola contemporanea di cui tutti abbiamo bisogno dovrebbe essere inclusiva; creare percorsi dove tutti abbiano accesso ad analoghe esperienze formative prive di indirizzamenti pregiudiziali negli anni dell’adolescenza; lavorare sulle conoscenze e sulle competenze senza metterle in antitesi perché nella vita servono sia le soft skills sia materie come la fisica e la chimica; servono insegnanti vocati e che ispirino pur trasferendo un senso profondo dell’importanza di impegnarsi nello studio personale per acquisire un proprio metodo di rielaborazione delle conoscenze; serve chi proietti al futuro che ancora non c’è e chi aiuti a riappropriarsi di un passato fatto di scoperte e pensieri e azioni che non sono da dimenticare.

Serve soprattutto considerare tutta la carriera scolastica come un percorso di orientamento in cui ogni singolo alunno e alunna abbiano la possibilità di immaginare attraverso riflessioni e attività pratiche insieme, quali siano le aspirazioni e gli obiettivi per le fasi successive di vita, non solo lavorativa.

Serve indirizzare chi dirige ognuna delle 50mila scuole italiane a utilizzare nei modi più opportuni e con un approccio di investimento e non di spesa per progetto i finanziamenti – tanti – del PNRR affinché ogni aula si trasformi in un ambiente dove studenti e studentesse imparino con pazienza e urgenza cosa vogliono “essere” prima ancora che “fare” nel mondo dei grandi.

Serve allenare a poche fondamentali competenze che serviranno per tutti i lavori del futuro, in primis quello di governo della “polis”. Junior Achievement, l’organizzazione a cui appartengo, le ha ridotte a tre: problem solving, collaborazione e adattabilità.

Serve creare ottimismo nei giovani preparandoli a un mercato del lavoro che dopo il Covid sta cambiando e soprattutto a sopravvivere in una società sempre più fragile e frammentata.

Alla scuola per diventare contemporanea serve un’iniezione di fiducia che parta da un’azione collettiva il più possibile eterogenea ed ampia, scevra da personalismi e appartenenze. Serve per esempio una coalizione degli enti del terzo settore già impegnati in interventi educativi, che affianchi una rete nazionale – più ampia dell’attuale – di scuole che con coraggio abbraccino il cambiamento, riportando come prioritari nei piani formativi i percorsi di sviluppo delle competenze trasversali per migliorare la vita dei bambini, adolescenti e giovani in tutto il Paese.

*Miriam Cresta, CEO Junior Achievement Italia

Foto Ag. Sintesi

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