Cultura

Scrivere la vita. Alice Munro Nobel per la Letteratura

Marco Dotti sul suo blog racconta la vincitrice del premio letterario più ambito

di Marco Dotti

Scrive storie brevi, racconti, di quel genere che non piace troppo agli editori, ma che i lettori hanno sempre mostrato di gradire. La canadese Alice Laidlaw, meglio nota come Alice Munro è da oggi la tredicesima donna della storia a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.  Schiva, lontana dal palcoscenico, in qualche modo affine a Flannery o’ Connor, la Munro  è nata nel 1931 a Wingham, nell’Ontario occidentale, in una famiglia di agricoltori. 

In Italia si è fatta conoscere  solo dalla fine degli anni ’80, e ha a poco a poco conquistato critica e lettori con le sue raccolte , tra cui si segnalano le ultime Troppa felicità e Chi ti credi di essere? pubblicate rispettivamente nel 2011 e nel 2012 da Einaudi e il volume delle Opere apparso quest’anno nei Meridiani Mondadori.  «La vita reale non erano la mia casa, i figli, il marito  – confessa – ciò che era reale era la mia scrittura, come si sviluppava nella mia mente e poi sulla pagina. Una realtà a cui non ho potuto rinunciare, mai».

La sua prima raccolta di racconti è del 1968 e porta un titolo emblematico, quasi un programma: Dance of the Happy Shades. In questa “danza di ombre felici”, la Munro lavora con grazia sulla materia sempre ostica del ricordo, privilegiando il mondo al femminile e le storie minime, incardinate su dettagli di vita quotidiana. «La memoria – scrive – è il modo in cui non cessiamo di raccontare a noi stessi la nostra storia e di raccontare agli altri versioni in certa misura diverse della nostra storia».

Alla notizia del Nobel, la Munro, che solo pochi mesi fa aveva annunciato il suo intento di non scrivere più, ha reagito con la consueta umiltà: «Spero serva a valorizzare i giovani  scrittori canadesi». 

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Alice Munro vista da Alice Munro

Biografia. «Sono nata nel 1931, durante la depressione. Non so come sia stata in Europa, ma nel Nord America è stata disastrosa. Non eravamo disperatamente poveri. Eravamo mentalmente poveri. Coltivavamo il nostro cibo, le nostre verdure…nella mia memoria il ricordo del lustro bordo di nichel delle vaste e maestose stufe nere ,gli scolapiatti di legno fradicio, la luce gialla della lanterna a olio. Il bricco del latte in veranda, le mele in cantina, i tubi della stufa che uscivano dai buchi nel soffitto, la stalla intiepidita d’ inverno dai corpi e dai fiati delle mucche… E in una di queste case – non ricordo di chi – c’ era una grossa conchiglia di madreperla che riconoscevo come messaggera di luoghi vicini e lontani, perché potevo portarla all’ orecchio, quando in giro non c’ era nessuno a impedirmelo, e sentire il battito formidabile del mio cuore, e del mare».

Romanzo.  «Io non vedo le cose nel modo giusto per scrivere un romanzo…mi piace vedere la fine di ogni lavoro, e sapere che sarà terminato per esempio entro Natale, e non capisco come gli altri scrittori riescano a lavorare a progetti così lunghi e aperti come i romanzi. Potresti anche morire mentre stai scrivendo un romanzo di cinquecento pagine»

Racconto. «Il racconto è una casa. Ci entri e ci rimani per un po’, andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo i rapporti tra camere e corridoio, e come il mondo esterno viene alterato se lo si guarda da queste finestre…la casa delimita lo spazio e crea collegamenti tra uno spazio chiuso e l’altro e fa vedere in modo nuovo quello che c’è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri».

Storie. «A volte trovo l’inizio di una storia in un ricordo, un aneddoto, ma è qualcosa che poi si perde e non è più riconoscibile nella versione finale. Ho sempre bisogno di conoscere il mio personaggio in profondità – che vestiti gli piacciono, com’era ai tempi della scuola, tutte queste cose. E io so che cosa gli è successo prima e che cosa gli succederà dopo il pezzo di vita che sto raccontando. Non sono capace di guardarlo solo qui e ora, imprigionato nella tensione del momento».

da Seconda Classe di Marco Dotti

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