Salute
Scoperto un nuovo fattore di rischio genetico per l’ictus cerebrale
Dalla Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta” e dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, il contributo italiano all’importante scoperta
di Redazione
È stato come trovare un ago in un pagliaio: una nuova scoperta permette un ulteriore passo in avanti nella conoscenza dei fattori di rischio genetici dell’ictus cerebrale ischemico.
Nei paesi sviluppati l’ictus rappresenta ancora la terza causa di morte e la prima di invalidità permanente. In futuro però il numero di infarti cerebrali dovuti a stenosi o occlusione dei grossi vasi, che costituisce circa un quarto di tutti gli ictus, potrebbe essere ridotto grazie ai risultati, pubblicati on line su Nature Genetics *, di un grande studio internazionale focalizzato sulla ricerca delle cause genetiche dell’ictus cerebrale ischemico.
Lo studio, promosso da un gruppo di scienziati australiani, ha coinvolto la comunità scientifica internazionale in un’analisi meticolosa durata più di due anni, ed ha rivelato l’esistenza di un segnale genetico sul cromosoma 6 (6p21.1), ad oggi sconosciuto, fortemente associato all’ictus cerebrale dei grossi vasi.
«Il lavoro», sostiene Giorgio Boncoraglio, della Fondazione “Carlo Besta”, responsabile per la parte italiana dello studio, «andrà avanti per chiarire in che modo la regione di DNA identificata possa aumentare il rischio di ictus ischemico, in particolare in associazione alla patologia aterosclerotica dei grossi vasi (arterie carotidi, vertebrali e basilare)».
Lo studio ha ricevuto un contributo importante dal gruppo Malattie Cerebrovascolari della Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta”, diretto da Eugenio Parati, che, grazie alla comparazione con un gruppo di soggetti sani partecipanti allo studio Procardis presso il Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare dell’Istituto Mario Negri di Milano ha potuto confermare anche nella popolazione Italiana questo tratto genetico identificativo della patologia aterosclerotica dei grossi vasi.
«Questa ricerca», afferma Simona Barlera, dell’Istituto Mario Negri, «ha costituito una sfida notevole dal punto di vista statistico poiché ha richiesto l’applicazione di test statistici rigorosi per poter replicare i risultati. Inizialmente sono stati confrontati 1200 soggetti australiani colpiti da ictus con altrettanti soggetti sani mediante uno screening di circa 610.000 polimorfismi (varianti) del genoma umano. I risultati positivi sono stati quindi replicati in 1700 pazienti con ictus dei grossi vasi e 52000 soggetti sani provenienti da 10 popolazioni differenti».
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