Salute

Scoperta in Italia la causa delle cardiomiopatie ipertrofiche

Lo studio della Fondazione Besta svela che alla base ci sarebbe le mutazioni di un enzima mitocondriale

di Redazione

Sull’American Journal of Human Genetics sono stati recentemente pubblicati i risultati di una ricerca, condotta dal gruppo di  Neurogenetica Molecolare della Fondazione Istituto Neurologico Carlo Besta, diretto da Massimo Zeviani, che ha identificato le prime mutazioni nel gene MTO1 in pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica con acidosi lattica. Mutazioni in geni nucleari sono la causa di un gruppo crescente di malattie mitocondriali solitamente associate a difetti multipli dei complessi della catena respiratoria mitocondriale. Gli organi maggiormente colpiti da queste alterazioni sono quelli ad alta richiesta energetica, come cervello, muscolo e cuore. La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia del tessuto muscolare del cuore caratterizzata da un ispessimento delle pareti cardiache, con conseguenze molto variabili: nella maggior parte dei casi ha un decorso benigno ma alcuni pazienti possono sviluppare sintomi molto severi, come lo scompenso cardiaco, con rischio di morte improvvisa. L’accumulo di acido lattico, e di conseguenza l’acidosi lattica, è invece un’alterazione del metabolismo tipicamente associata a disfunzione dei mitocondri. Circa il 40% dei pazienti con malattie mitocondriali presentano problemi cardiaci.

Per indagare in dettaglio le origini genetiche di questa patologia, il gruppo di Massimo Zeviani, grazie ad una collaborazione internazionale con l’Istituto di Genetica Umana di Monaco (Prof. Holger Prokisch), ha utilizzato una tecnica di sequenziamento genico innovativa (next-generation exome sequencing) che ha portato all’identificazione del gene-malattia in questione in due fratelli affetti. Questo approccio offre la possibilità di analizzare rapidamente e a basso costo l’intero esoma, cioè tutte le regioni codificanti del DNA, che si stima contengano circa l’85% delle mutazioni responsabili di malattie genetiche.

«L’analisi del gene MTO1», spiega  Daniele Ghezzi, dell’Unità di Neurogenetica molecolare dell’Isituto Neurologico Carlo Besta e primo firmatario dell’articolo, «è stata estesa ad altri casi con lo stesso quadro clinico e biochimico, permettendo l’identificazione di altri due pazienti con mutazioni in questo gene».

Studi successivi di caratterizzazione del gene e della proteina corrispondente sono stati effettuati in cellule derivate da biopsie cutanee dei pazienti e utilizzando un modello di lievito, grazie alla conservazione filogenetica del gene MTO1 in questo microorganismo in collaborazione con il prof. Ileana Ferrero, dell’Università di Parma. Tramite diversi esperimenti in vitro e in vivo è stato evidenziato un difetto nella respirazione mitocondriale, è stata verificata la patogenicità delle mutazioni identificate ed è stata rilevata l’alterazione dei processi di sintesi proteica mitocondriale nel modello di lievito.

«Queste analisi», aggiunge Daniele Ghezzi, «hanno permesso di evidenziare una correlazione tra la funzione patogena delle diverse mutazioni e i diversi gradi di gravità della malattia, che può variare da uno scompenso cardiaco fatale precoce ad una ipertrofia cardiaca stabile e relativamente ben compensata».

«I risultati della ricerca», sottolinea il prof. Massimo Zeviani, Direttore di Neurogenetica molecolare dell’Istituto Neurologico Carlo Besta, che presto prenderà il posto che fu del Premio Nobel, John Walker, al Medical Research Cancer di Cambridge, «presentano solide evidenze circa l’esistenza di una nuova patologia clinica mitocondriale, caratterizzata da cardiomiopatia e causata da mutazioni in un nuovo gene-malattia, MTO1, coinvolto nella traduzione del DNA mitocondriale».

 

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