Welfare
Scontiamo la pena. Ma lasciateci la dignit
Lettere dal carcere. Risponde Cristina Giudici
Sono recluso nel carcere di Catanzaro dall? 8 agosto 1996, a mille chilometri dalla mia famiglia, che risiede a Bergamo. Sono stato trasferito senza nessun motivo in una struttura regolata da norme per l?emergenza mafia.
Sin dai primi giorni ho capito che offrire una sigaretta significava ricevere minacce di un rapporto disciplinare e che ogni piccolo sgarro implicava punizioni di ogni genere. Scendere all?aria è un?impresa molto pericolosa. La prima volta che ci sono andato, mi sono subito trovato in una situazione di violenza e il giorno dopo mi sono state sospese le attività creative e i benefici premiali.
Qui è proibito tutto: è impossibile avere altri generi di alimenti che non siano quelli passati dal carcere, le docce sono pericolanti e andarci significa prendere qualche malattia. L?unica norma esistente è quella della punizione. Voglio pagare per il delitto che ho compiuto contro la società, ma dignitosamente. Chiedo troppo?
Ermush Gashi
Le scrivo per denunciare gli atti di grave ingiustizia di cui sono vittima in questo istituto. Gli agenti di custodia compiono ogni titpo di abuso e gli operatori, i medici e la direzione si comportano con arroganza e malignità. Recentemente ho ricevuto un rapporto disciplinare perché ho passato una sigaretta a un compagno dalla finestra del bagno. E poi qui alzano le mani; il clima è pieno di tensione e nervosismo. Per parlare con l?educatore bisogna invocare il miracolo. A me, personalmente, mi hanno chiamato per la prima volta dopo undici mesi. Sto facendo il possibile per essere trasferito in qualsiasi luogo, anche in Africa! Devo scontare tre anni e mezzo per tentata estorsione. Sono sicuro che mi faranno scontare tutta la galera fino all?ultimo giorno. Quando uscirò, però, farò qualcosa per quelli che rimangono perché stare qui è uguale a morire.
Giuseppe Rocca
Scriviamo per far sapere all?opinione pubblica che oggi abbiamo subito un altro atto di ingiustizia e ci siamo stufati. Alcuni nostri compagni sono scesi nel campo sportivo e c?è stata una lite. L?intera sezione, di oltre venti persone, è stata messa in isolamento per quindici giorni e alcuni di loro sono stati trasferiti. Ma questa, qui a Catanzaro, è una situazione generalizzata. Ogni giorno riceviamo minacce e siamo oggetto di rappresaglie, coperte dalla direzione del carcere, attraverso le sanzioni disciplinari, che comportano punizioni come l?isolamento, la sospensione indeterminata dei benefici interni (telefonate, colloqui e altro), i tagli di spesa per il sopravvitto (acqua e zucchero) e la sospensione di benefici esterni (liberazione anticipata, permessi). I rapporti disciplinari che gli agenti scrivono contro di noi vengono fatti per i motivi più stupidi: perchè si offre un piatto di pasta o una sigaretta a un compagno, o perché salutiamo qualcuno e via dicendo. In questo carcere siamo privati della nostra libertà, dei nostri affetti più cari e oltre tutto subiamo anche violenze. Tutto ciò accade con il consenso della direzione dell?istituto, il magistrato di sorveglianza, gli operatori sociali che si disinteressano dei problemi sociali interni (ci è stata rifiutata la richiesta di una biblioteca, mancanza di attività trattamentali), ma che in compenso tutti partecipano alla commissione disciplinare (e punitiva). E questo non fa che alimentare astio e risentimento. Speriamo che il nostro grido di protesta sia sentito e ascoltato, in modo che questi fatti non abbiano più seguito e che chi commette atti indisciplinati o scorretti ne paghi le conseguenze. Per dare più forza alla nostra protesta abbiamo raccolto le firme dei detenuti.
D. Calabrese, G. Mingacci, G. Falcone, A. Falcone,
V. Rettura, F. Perre.
Seguono 20 firme.
Questa settimana pubblichiamo tre lettere. Provengono dal carcere di Catanzaro e denunciano la stessa situazione. Ci descrivono uno scenario apocalittico di un carcere dove non esiste nessuna norma legale, se non quella tacita della violenza e del sorpruso. Nelle descrizioni (neanche troppo dettagliate) della casa degli orrori , intravedo i tratti che sono propri del sistema penitenziario, ma che nelle altre carceri sono più diluiti e, quindi, meno generalizzati. Da queste testimonianze il carcere, anzi la galera di Catanzaro, emerge come un concentrato di tutto ciò contro cui il Paese civile combatte e cioé la pena intesa come dannazione. É significativo, e spero non di cattivo auspicio, che questo accada proprio mentre da più parti vengono annunciati venti di cambiamento nella giustizia. Mi auguro che i venti inizino a soffiare il più presto possibile. Per le vostre parole non ci sono risposte. Possiamo solo girare le vostre lettere ai magistrati in ascolto e chiedere loro se in questo caso non ci sia l?obbligatorietà dell?azione penale per ristabilire la legalità anche in quel di Catanzaro.
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